Nijinskij detta moda a Milano
La Musa dei Ballets Russes di Sergej Djaghilev torna ad ispirare la moda e l’intero mondo del lusso. Lo si nota dallo sfarzo, dalla spettacolarità, dall’eccentricità di certe passerelle (soprattutto francesi), ma anche dalla nuova audacia creativa che sembra caratterizzare alcune recenti collezioni di gioielli, da Bulgari a Cartier, da Van Cleef&Arpel a Tiffany, da Gucci a Pomellato, solo per citare qualche brand.
Colpiscono, in particolare, gli accostamenti cromatici inediti, le dimensioni ariose, l’eccesso “architettonico” (più anelli cabochon da indossare insieme, ad esempio), ispirati a cattedrali moscovite, icone ortodosse, voluminosi turbanti, mosaici multicolore, giochi di luce esotici. Via libera, allora, all’impiego di gemme a volontà: dalle più preziose (diamanti, zaffiri, smeraldi, rubini) alle semi-preziose dei più svariati colori (acquamarine, ametiste, turchesi, topazi, tormaline, citrini, ecc.), e poi fiumi di perle, oltre a tanto oro lavorato in modi sofisticati e abbondante smalto variopinto, a richiamare le celebri uova Fabergè. L’obiettivo è dar vita a modelli pieni di movimento, colore cangiante, luminosità.
Nemmeno i giovani designer sono immuni dall’attrazione fatale per la fastosa Russia pre-rivoluzionaria, come Gianni De Benedictis (vincitore del concorso di Vogue Italia “Who in on Next?”).
Nella medesima scia, il Museo Teatrale alla Scala di Milano ospita fino ad Aprile la bella mostra.
“Les Ballets Russes – Milano Anni Venti”, curata da Marinella Guatterini e concepita per celebrare il centenario della fondazione della “mitica” compagnia coreutica (Maggio 1909). L’evento, che ha richiesto due anni e mezzo di lavoro, verte sulle 14 coreografie (tra cui La bella addormentata nel bosco, La boutique fantasque, Contes Russes, Il lago dei Cigni, Le Carnival) presentate dai Balletti Russi a Milano nel 1920 e nel 1927.
Oltre a bozzetti, silhouettes, foto d’epoca, riviste raffinate e libri antichi, porcellane e oggetti vari legati a danzatori e musicisti, sono pure esposti magnifici abbigliamenti originali di scena, tra cui preziosi inediti: si vedano i fantasmagorici costumi dell’Uccello di fuoco e della mummia in taffettà di Cléopatre (disegnata da Sonia Delaunay). Il tutto in un ambiente reso ancor più suggestivo da luci, proiezioni, video che creano dinamismo.
Fanno sensazione ancora oggi l’abito a scacchi della bella addormentata ed i pantaloni a campana da marinaio, l’amplissimo mantello nero dell’orco immortale dell’Uccello di fuoco, le tuniche dalle grandi maniche delle mogli dei boiardi, i merletti d’oro cuciti sui vestiti, gli stupendi bottoni decorati, cappelli ed abiti alla turca, tessuti dalle fantasie astratte e psichedeliche ante-litteram.
Per allestire una mostra così particolare, a tema, fior di ricercatori hanno attinto a diverse fonti, dall’Archivio Costumi Caramba della Scala al Museo Teatrale della stessa Scala, dalle collezioni di Toni Candeloro all’associazione Fokine.
Ma chi furono realmente i protagonisti dell’irripetibile stagione dei Ballets Russes?
Innanzitutto, Sergej Djaghilev (1872-1929), l’impresario russo che da Parigi, a partire dagli anni ’10, consacrò gli spettacoli di balletti come l’evento teatrale più importante del primo quarto del Novecento, destinato a trionfare ovunque. Gli elementi della compagnia, del resto, erano i migliori sulla scena, provenendo quasi tutti dal grande Teatro Marijnskij di Pietroburgo (Pavlova, Karsavina, Smirnova, Nijinskij, Bolm, ecc.). Dotato di un carattere piuttosto autoritario e bisbetico, cultore ortodosso della danza classica, Djaghilev creò coreografie innovative in collaborazione con i massimi artisti contemporanei, dai pittori Picasso e De Chirico ai compositori Stravinskij e Debussy, solo per citarne alcuni, uscendo così dalle angustie del balletto accademico e sposando audacemente (diciamo pure scandalosamente, talvolta) temi moderni e stili d’avanguardia.
Oltre al “divo” Vaslav Nijinskij, i ballerini e coreografi più noti dei Ballets Russes furono Fokine, Massine, B. Nijinska (sorella di Vaslav), Balanchine.
Dopo la morte di Djaghilev (1929) , la compagnia si sciolse, ma la dispersione degli artisti che collaborarono con lui fece riprendere vitalità e vigore al balletto. A Montecarlo, in particolare, si cercò più volte di ricostituire il gruppo, ma non si toccarono più i vertici creativi del Maestro.
A proposito di Nijinskij (1890-1950), in particolare, va ricordato che egli fu uno dei più grandi danzatori di ogni tempo, capace di acrobazie feline e movimenti sensuali, dotato di una tecnica tale da conferirgli levità e nobiltà uniche (furono leggendari, ad esempio, il secondo atto di “Gisele”, 1910, per la vis patetica raggiunta, è il suo jeté finale in “Le spectre de la rose”, 1911). Amante di Djaghilev fino alla brusca rottura (che lo condusse al manicomio), come coreografo Nijinskij destò spesso scandalo (sin dalla sua prima creazione “L’après-midi d’un faune” (1912) per l’erotismo, l’andamento lineare, a due dimensioni, dei movimenti, ispirati ai bassorilievi greci. La sua fu una danza che precorse i tempi, sperimentale, di ricerca, finalizzata alla carica espressiva, attraverso gesti angolosi, en dedans, legati alla terra. E i costumi indossati furono il suo specchio.