Le principesse Disney: la donna dagli anni Trenta a oggi. Parte 2
Perché qualcosa cambi bisogna aspettare l’uscita de “La Sirenetta” nel 1989: la protagonista Ariel sarà pure una sirena, per cui le si possono attribuire tratti non certo da principessa, ma nel corso del film diventa una donna : qualcosa effettivamente è cambiato. Ariel possiede un sogno infatti: vedere il mondo degli umani e per realizzarlo fa di tutto. Rompe infatti con l’ambiente familiare, rappresentato dal padre, che non è malvagio, ma vuole semplicemente proteggerla. Così se le “principesse” classiche si allontanavano dall’ ambiente familiare solo quando questo era costituito da matrigne cattive oppure quando la propria vita era in pericolo, salvo poi farvi ritorno alla fine della vicenda, Ariel invece, alla fine trova il suo posto da un’altra parte e il padre accetta per la sua felicità. Certo sul suo cammino trova il suo principe azzurro in Eric e ha bisogno di lui per essere salvata dalle grinfie della perfida Ursula, ma tutto ciò non rientrava nei piani iniziali.
Rossa, dopo una generazione di principesse bionde, a parte Biancaneve, è più che naturale vederla in costume da bagno, formato da due conchiglie viola. Chissà se qualche decennio prima la Disney avrebbe presentato al pubblico un’eroina così “scoperta”; anche se gli abiti che indossa una volta umana, sia quello da passeggio blu, grigio e nero che quello bianco da sposa, non starebbero male nel guardaroba di Biancaneve o di Cenerentola.
Le novità introdotte da Ariel trovano il loro apice in Belle (“La Bella e la Bestia”, 1991), la semplice ragazza di provincia, sognatrice e anticonformista, che non esita a mettere da parte la propria libertà e i propri sogni di avventure per salvare il padre offrendosi al suo posto come prigioniera della bestia. Come Ariel, anche lei alla fine ha ancora bisogno di essere salvata dal principe azzurro, anche se in questo caso ha l’aspetto di una bestia, ma è una delle principesse Disney meglio riuscite e più amate, perché per una ragazza di oggi è facilissimo rispecchiarsi in lei. Il suo personaggio è sorprendente anche dal punto di vista dell’abbigliamento: come tutte le principesse che l’hanno preceduta, anche lei appare all’inizio con indosso un abito da giorno azzurro con grembiule bianco, ma l’abito giallo da gran ballo decorato con perle bianche e con scollo a barca, che al giorno d’oggi non sfigurerebbe su un tappeto rosso, è una vera e propria rivoluzione nel guardaroba delle eroine Disney.
Anche Jasmine (“Aladdin”, 1992) sogna di andarsene dal palazzo reale, in cui si sente prigioniera, per vedere il mondo la fuori e sulla sua strada trova, nel ladro Aladdin, il suo principe; per la prima volta la Disney sembra allarga i propri orizzonti: infatti ci si trova di fronte a una principessa di origine araba, non più occidentale. Si viene così introdotti a costumi di altri culture: Jasmine indossa, per la maggior parte del film, un completo azzurro composto da un top che lascia scoperta la pancia e, per la prima volta nella storia delle principesse Disney, da un paio di tipici pantaloni arabi larghi, quasi a voler sottolineare il suo desiderio di libertà.
Pian piano, le eroine della Disney mostrano di aver conquistato la loro indipendenza: compiono le loro scelte in totale libertà, trovano, alla fine il proprio principe anche se all’inizio non credono affatto nell’amore, non scendono mai a patti e si costruiscono la propria strada da sole, arrivando anche da sole a salvare il proprio amato. Non è un caso che queste principesse non sfoggino abiti eleganti adatti a un castello delle fiabe preferendo abiti comodi e morbidi e vadano in giro a piedi scalzi, libere come il vento. Sono infatti eroine non appartenenti al mondo delle fiabe, ma calate in un contesto reale: la pellerossa Pocahontas (1995), basata su un personaggio realmente esistito, che si ritrova a fare i conti con i conquistatori inglesi del Seicento, e che con il suo corto abito a frange beige è una perfetta incarnazione della natura; la zingara, dalla pelle scura, Esmeralda (“Il gobbo di Notre-Dame”, 1996), protagonista femminile de “Notre-Dame de Paris” di Victor Hugo, che vive ai margini della società , si aggira per le strade di Parigi cercando di sfuggire alle guardie con una camicia bianca, un bustino verde sgargiante, una lunga gonna viola, uno scialle viola scuro con decorazioni dorate allacciato sui fianchi, un foulard fucsia come fascia nei capelli e un solo grande orecchino a cerchio. Quando poi si esibisce come ballerina è caricata pure di una certa sensualità, completamente assente nelle principesse precedenti, che affascina l’irreprensibile e malvagio giudice Frollo, il deforme campanaro di Notre-Dame, Quasimodo, e il nuovo capitano delle guardie, Febo.
Megara (“Hercules”, 1997), pur riportando il pubblico in un mondo immaginario, quello dei miti greci, è della loro stessa pasta; infatti non è la tipica principessa dall’animo puro e gentile, come non lo è Esmeralda: arrogante, non si preoccupa se quello che fa sia giusto o sbagliato, pur di riavere la propria libertà dal cattivo di turno, Ade, che è costretta a servire, anche se comunque alla fine si redime. La sua sensualità è ancora più accentuata di quella della zingara parigina, a causa dello strettissimo vitino di vespa e della silhouette morbida con curve in evidenza, accentuate ancora di più dall’ aderente peplo lilla che indossa, che non esita ad usare come arma per svolgere gli incarichi che le affida Ade.
Anche la cinese Mulan (1998) è un tipetto tosto, che non dubita di abbandonare uno stile femminile, simboleggiato dal raffinato abito tradizionale cinese fasciante- in varie tonalità di viola – che sua madre le fa indossare per l’incontro con la mezzana; arriva a tagliarsi i capelli con la spada per indossare l’armatura da guerriero del padre in modo da evitare che sia lui, anziano e zoppicante, ad andare in guerra. Ciò non significa che la sua rivendicazione di libertà la porta ad abbandonare completamente la sua femminilità: Mulan è alla ricerca di se stessa, e non si sente a suo agio né indossando un vestito da grandi occasioni, né travestendosi da uomo. Si sente se stessa solo vestendosi in modo femminile ma comodo, non eccessivamente agghindata : infatti nel corso del film indossa, più di una volta, vestiti tipici cinesi da casa, fascianti e multicolore.
Abbiamo visto quindi come uno stesso carattere, col passare del tempo, si evolva adattandosi ai cambiamenti della società: se le principesse Disney hanno conquistato una maggiore indipendenza, è perché le donne del mondo reale l’hanno conquistata.
A questo punto ci si potrebbe chiedere quale sia stato il passo successivo. La risposta è semplice: presentare sempre lo stesso personaggio. La Jane di “Tarzan”(1999) non propone niente di nuovo rispetto alle sue illustri precedenti, anzi, sembra quasi che faccia un passo indietro, perché ha ancora bisogno di essere salvata dall’uomo della situazione, in questo caso il selvaggio Tarzan: non per niente si aggira nella fitta giungla africana con un ingombrante e scomodo abito giallo da giorno in linea con la moda vittoriana dell’epoca del personaggio.