“Enthusiastic fashion”
Interessante analisi delle nuove abitudini del consumatore al Convegno internazionale “Le geografie del vestire” svoltosi all’Università Cattolica di Milano. I consumatori -afferma uno dei realtori- prendono sempre più spunto da altri consumatori e tramite i mezzi di comunicazione elettronici. Da parte sua l’industria della moda tenta di servirsi delle diverse forme di “agorà virtuali” (siti internet, sms,”¦) per coinvolgere il consumatore nella fase creativa di produzione del prodotto di moda, tanto da definirlo quasi un co-autore del prodotto/consumo. «La creazione e il consumo di moda includono la costituzione della stessa vita sociale, coniugando globale e locale, intessendo relazioni fra il mondo dei soggetti e quello degli oggetti, ponendo questioni di necessità, di scelta e di cittadinanza. I vestiti sono una categoria unica di beni, la loro vera materialità è data dal fatto che essi si muovono attraverso il tempo e lo spazio in una relazione non lineare (design, creazione, selezione, acquisto, uso e durata), ma attraverso i “contesti corporei” , nelle diverse forma della quotidianità dove essi vengono indossati. Gli abiti sono dunque “indicatori di identità”. » E’ Louise Crewe, Professore di Geografia Umana all’Università di Nottingham a trasmetterci queste riflessioni in occasione del Convegno “Le geografie del vestire”, organizzato lo scorso 4 e 5 maggio a Milano dal Centro per lo studio della moda e della produzione culturale. Lavora sui temi della vendita al dettaglio, del consumo, della mercificazione e della sistemazione, e i suoi interessi di ricerca si rivolgono in particolare all’industria di moda.
La Crewe ha messo a fuoco un cambiamento relativamente recente nel campo del capitalismo: le produzioni che un tempo erano viste come alleanze di ripiego e improvvisazioni ispirate, stanno progressivamente diventando nuovi modelli di relazione tra produttori e consumatori, che hanno il potere di ridefinire le innovazioni e i mercati. La docente di Nottingham parla di produzione di consumo elettronico entusiastico, una nuova fusione tra le imprese, i consumatori e il processo creativo di produzione di ciò che può essere descritto come un “impasto culturale” ibrido. I consumatori prendono sempre più spunto da altri consumatori più che dai canali convenzionali come le grandi corporazioni o le pubblicazioni a stampa, catalizzati in parte attraverso i mezzi di comunicazione e di consumo elettronici, i sofisticati siti internet, gli sms e le reti sociali elettroniche. Anche i produttori stanno cercando nuovi meccanismi per imbrigliare le conoscenze dei consumatori attraverso una vasta schiera di modalità di collocazione del marchio e di strategie estensive di pubblicità ambientale, consenso alla registrazione dei dati su siti internet e campagne di marketing basate sul passaparola. Di qui l’intenzione di esplorare i contorni di questo fenomeno correlato nello specifico all’industria di moda. Basandosi su alcuni studi di caso, tra cui il sito Oki-ni.com e Levi-Strauss, la Crewe ha messo in discussione che cosa tale cambiamento comporti in termini della più generale concettualizzazione dell’origine, del valore e dell’autenticità della pratica di consumo.
Sembra infatti che l’industria della moda tenda a servirsi dei comportamenti “entusiastici” e “comunicativi” dei consumatori di tendenze per creare un’idea di mercato che è più simile a quella di un grande “forum” pubblico e globale, che a quella del tradizionale (e oramai obsoleta) catena di produzione e consumo. Si utilizzano quindi le diverse forme di “agorà virtuali” (siti internet, sms,”¦) per coinvolgere il consumatore nella fase creativa di produzione del prodotto di moda, tanto da definirlo quasi un co-autore del prodotto/consumo.
Anche gli spazi -le agorà reali- giocano la loro parte: i mega-store di moda vengono progettati perché il consumatore possa fruire di una vera e propria shopping experience, dove il valore del marchio possa essere entusiasticamente percepito e sperimentato. La collocazione architettonica degli store deve facilitare al consumatore la percezione del valore del brand, che potrebbe essere sintetizzato da queste cinque parole chiave: varietà del marchio, esclusività e, al tempo stesso mutevolezza, qualità del servizio, “non commerciabilità”.
E’ inoltre importante che il consumatore possa fare questa esperienza di moda in tempo rapido (“shopping is boring”- Rem Koolhaus) e a costi relativamente bassi. Una questione che il consumatore “entusiastico” di moda deve ancora risolvere all’interno di queste nuove forme di consumo di moda, è quella del rapporto qualità/prezzo, autorialità e “cittadinanza” del prodotto di moda. Questa d’altra parte appare un’interessante ambiguità, oggigiorno, del processo creativo di produzione e consumo di moda all’interno del “villaggio globale” nel quale viviamo.