“I more”. Perché “io di più”?
C’è qualcosa di nuovo nell’aria.
E non è semplicemente il “solito” ritorno della “solita” primavera.
È qualcosa che precede ciò e che lo annuncia in maniera “diversa”.
Qualcosa che arriva da un’esigenza “diversa”.
C’è il desiderio di una “nuova” femminilità, di ruoli che, pur modificati nel corso degli anni, possano esplicarsi pienamente e in modo più consapevole.
Con quella forza che la donna, nella varietà e molteplicità del suo porsi, riesce a trasmettere proprio a partire da quella differenza che, dentro all’armonia che lei sola riesce a creare così bene, dentro la peculiare capacità di dare vita alle relazioni che lei sola sa mantenere così spontaneamente, è certamente apportatrice di valore.
Anche nelle ultime sfilate si è vista una ricerca di abiti e di volumi fatta per “vestire” e non per “svestire” o, peggio ancora, “travestire” il corpo.
A Parigi, Jean Paul Gaultier ha fatto sfilare le sue modelle “senza età”, proprio a sottolineare che, in un momento in cui il giovanilismo impera e fa vacillare sicurezze consolidate, “non di sole gambe e scolli si vive”. Addirittura le ha ingrigite nei capelli e le ha mostrate orgogliose di mostrarsi.
Audaci nell’essere sobrie. Fiere di essere naturali.
E molto scalpore ha creato la campagna pubblicitaria di un’azienda di abbigliamento che ha usato in modo del tutto inappropriato l’immagine di una ragazza ammiccante e decisamente volgare. Un lato B mostrato con tale spudoratezza e sfacciataggine che ha dato come esito la rimozione di alcuni cartelloni in più città.
Le cronache ci riportano poi, ogni giorno, casi inerenti l’argomento”¦”¦.
La misura, evidentemente, è colma. Senza moralismi.
I dibattiti si accendono, la rete si infiamma, giornaliste assolutamente trasversali si trovano pressappoco sulla medesima onda e un femminismo ripulito e rinfrescato torna a far parlare di sé.
Nella confusione che si è andata creando da un po’ di anni a questa parte, si sta forse nuovamente insinuando l’idea di “normalità”, intesa anche come e soprattutto “normalità” di toni, di atteggiamenti, di modi. E parole come “dignità”, “identità”, “rispetto”, se non abusate, trovano, in un sussulto corale, un sapore che si era quasi dimenticato.
Strumenti antichi e insieme rivoluzionari, come affermava Giovanni Bollea in un suo straordinario saggio tornato da poco alla ribalta. Egli si riferiva, con ciò, all’amore, alla disponibilità all’ascolto, all’esempio. Ma sono ricette che non riescono a passare di moda, anche per chi la moda la fa e la usa per educare e per trasmettere qualcosa. “Avete un compito importantissimo, voi” disse Giovanni Paolo II a Fausto Sarli, nella giornata dedicata agli stilisti durante il giubileo del Duemila. “Dovete insegnare alla gente ad amare la bellezza, a partire da quello che indossa”. “Dovete, con la vostra arte, veicolare la grazia ed esaltare la vera femminilità”. Tutto ruota. E si ritrova.
L’ambizione di volere andare oltre ciò che appare non è superbia; è tensione a, è ricerca di, è amore per.
“Imore”, diciamo noi. “Di più”, vogliamo noi.
Una riflessione opportuna, e ben scritta, in momenti di “rumore”, ce n’è bisogno.
una boccata d’ossigeno in mezzo a tanta confusione.