“The Eye Has to Travel”: omaggio a Diana Vreeland
“Elegance is innate. It has nothing to do with being well dressed(“¦.)” sosteneva Diana Vreeland, leggendaria fashion editor di Harper’s Bazaar e direttrice di Vogue America, considerata il più autorevole arbiter elegantiae del XX secolo. Un documentario e un libro, intitolati entrambi “Diana Vreeland: The Eye Has to Travel” vogliono celebrare la donna e l’icona di stile. Lisa Immordino Vreeland è contemporaneamente autrice del volume, edito da Abrams e disponibile da questo mese nelle librerie, e regista della pellicola (presentata fuori concorso durante l’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia).
Ripercorrendo la vita di Diana Vreeland si può dipingere un affresco fedele del XX secolo, grazie alla sua capacità innata di cogliere lo spirito del tempo, attraverso i mutamenti della moda. Esordisce come curatrice della rubrica “Why don’t you?” per Harper’s Bazaar negli anni ’30, praticamente inventa il mestiere di fashion editor, dirige con intelligenza e passione Vogue America dal 1962 al 1972 e ha la capacità di reinventarsi, ricoprendo il ruolo di consulente di moda presso ilVogue America per cui ha curato dal 1972, fino alla morte sopraggiunta nel 1989, esposizioni eccezionali come “The world of Balenciaga”, “Romantic and Glamorous Hollywood Desig”, “Diaghilev: Costumes and Designs of the Ballets Russes” o “Yves Saint Laurent: 25 Years of Design” (per citarne solo alcune). Donna originale, dotata di una visione unica e anticonvenzionale, ha saputo registrare i mutamenti in atto nel secolo scorso che ha raccontato attraverso le pagine dei più prestigiosi giornali di moda, offrendo un contributo personale al cambiamento degli schemi sociali e al processo di emancipazione femminile. Jacqueline Kennedy ha sostenuto: “Dire che Diana Vreeland si è occupata solo di moda significa banalizzare i suoi meriti. È stata un’osservatrice saggia e arguta del suo tempo. Ha vissuto una vita piena”.
Lisa Immordino Vreeland esordisce come regista, raccontando nel suo documentario sia la vita pubblica che la vita privata di Diana Vreeland, tra frammenti di storia, foto d’autore e interviste ad amici e parenti. Oltre alle testimonianze dei figli Tim e Frecky e dei nipoti Nicky e Alexander, non mancano i ricordi di star come le attrici Ali McGraw, che fu sua assistente ad Harper’s Bazaar e Anjelica Huston, lanciata come modella dalla signora della moda negli anni ’60. Il documentario include una pillola di Andy Warhol e un’intervista al fotografo britannico David Bailey (presenza immancabile, per l’importanza del dialogo professionale instaurato nel corso del tempo con grandi protagonisti della fotografia mondiale come Richard Avedon, Louise Dahl-Wolfe, Lillian Bassman o Alexey Brodovitch). Le conversazioni con personalità come Harold Koda, head curator del Costume Institute del Metropolitan Museum of Art di New York che è stato un suo collaboratore, si alternano ad interviste registrate, rilasciate da madame Vreeland.
Il progetto del documentario e del libro “Diana Vreeland: The Eye Has to Travel” sono intimamente legati (il titolo comune è tratto da “Allure”, libro pubblicato da D.V. nel 1980) e ognuno contribuisce con caratteristiche differenti a rendere omaggio a una personalità eccezionale. Il volume edito da Abrams contiene numerose immagini, molte delle quali sconosciute al pubblico contemporaneo, create per Harper’s Bazaar, Vogue o il Costume Institute di New York e attinte in parte, dagli archivi di Hearst e della Condè Nast. Il libro contiene inoltre, saggi di giornaliste e studiose come Lally Weymouth, Judith Thurman e Judith Clark. Il tributo a Diana Vreeland culminerà in una mostra curata da Maria Luisa Frisa e Judith Clark, ospitata a marzo 2012 presso il Museo Fortuny di Venezia.