150 anni di Bijoux
Bijoux: un nome che evoca piccole gioie, vezzi e gingilli, ornamenti che concentrano in sé tutta la creatività del design, ovvero pezzi briosi e versatili, pratici e personalizzabili, senz’altro più accessibili rispetto ai gioielli “veri” (ma non sempre), in altre parole “oggetti dell’apparire per scoprire l’eleganza dell’essere”. Alla grande epopea della bigiotteria italiana ha dedicato un denso volume la storica del gioiello Bianca Cappello – “Storia della Bigiotteria Italiana” (Skira editore) – che ricostruisce l’itinerario di questo importante comparto del made in Italy, a partire dall’Unità d’Italia sino ai nostri giorni. Stili e tecniche fra tradizione e innovazione vi sono descritti con puntualità per squarciare il velo su un mondo di sperimentazione e di divertimento sofisticato su cui la fantasia regna sovrana. A ben vedere, in realtà, nei bijoux si fondono moda, arte, design, artigianato e storia sociale, tanto da esprimere il gusto di una collettività attraverso la sua ampia gamma di manifestazioni culturali. Parlare di bigiotteria italiana significa allora raccontare la storia delle abitudini e dei costumi di un popolo che da sempre si adopera nel plasmare un codice creativo nel nome dell’incanto e della grazia.
Scrive nell’introduzione del libro Stefano Papi: “Gioielli veri e bijoux si sono sempre intrecciati. Un tempo la bigiotteria era creata come mera imitazione della gioielleria vera, ma al giorno d’oggi la situazione è talvolta invertita, spesso sono i bijoux per la moda che ispirano gli oggetti preziosi”. Il contributo dei grandi stilisti alla manifattura di bigiotteria le ha permesso di raggiungere un livello notevole dagli anni ’30 in poi, dal momento che i bijoux donano il tocco finale all’abito del couturier. Tant’è che “ogni signora alla moda ha inserito gioielli falsi nella sua collezione di gioielli veri, talvolta mescolandoli tra loro”. Lo dimostrano le varie collezioni andate all’asta negli ultimi anni, appartenute a nomi celebri come Diana Vreeland, la “mitica” caporedattrice di “Vogue America”, la scrittrice rosa (nonché “nonnastra” della Principessa Diana) Barbara Cartland, la duchessa di Windsor Wally Simpson, il cui scrigno conteneva fra l’altro una splendida collana realizzata in Italia nel 1960, con orecchini a clip abbinati, griffata Coppola e Toppo, disegnata come una cascata di cristalli sfaccettati che sfumano dall’azzurro pallido al blu scuro.
E’ chiaro quindi che bigiotteria non significa semplicemente oggettistica ornamentale fatta con materiali poveri, ma questa forma d’arte nel ‘900 acquista un valore e un senso diversi. Sono in particolare i movimenti Liberty, Art Nouveau e il Déco a conferirle dignità, rispettabilità e prestigio in virtù del design del tutto indipendente dai materiali adoperati. Basta ricordare le spille di laton (rame e ottone) o di altre leghe minori, d’argento, di costo modesto, ma ricche di inventiva creativa: fiori, farfalle, insetti, colpi di frusta, forme femminili utilizzate per la sinuosità delle silhouette, profili di volti angelicati, elementi nuovi e insoliti, mai banali. Scrive l’esperta Doretta Davanzo Poli che i bijoux “con la nascita dell’alta moda, diventano complemento indispensabile: si pensi ai collari-collane di plastica trasparente con insetti policromi di Elsa Schiaparelli, alle catene dorate al collo e in vita e ai molteplici fili di perle finte di Chanel, e ancora, tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, alle incessanti straordinarie invenzioni in vetro di Murano: girocollo digradanti di perle di vetro a lume, di ogni forma e colore, in tinta unita o con ornamentazioni floreali oppure geometriche, con foglia d’oro o d’argento all’interno, tonde o oblunghe, con pagliuzze di rame (le avventurine, risalenti al secolo XVII), il finto corallo inventato tra il 1822 e il 1826 da Franchini, le perle giallo-oro di Giovanni Giacomuzzi (create nel 1866) e infine il falso giaietto prodotto dal 1874”.
Bianca Cappello sottolinea come, per motivo storici, economici e culturali, la manifattura bigiottiera italiana abbia cominciato ad imporsi energicamente solo negli anni ’60 con la nascita del prêt-à-porter e con la formazione della figura dello stilista di moda (Albini, Valentino e Armani tra i primi), allorché il fashion system si organizza in una struttura industriale capace di veicolare e rafforzare, anche attraverso l’accessorio, il marchio italiano nel mondo. Così le aziende nazionali del comparto hanno preso coscienza di essere parte integrante della produzione del Made in Italy e della moda nel mondo.
Riguardo all’oggi, osserva l’autrice: “Dopo decenni di grande lavoro e di riconoscimento a livello internazionale, la produzione italiana di bigiotteria sente finalmente la consapevolezza della sua creatività e del suo valore legati alla passione di personalità coraggiose e dalle grandi idee, alla storia di piccole e grandi invenzioni tecniche e tecnologiche, a modelli di grande originalità, alla capacità di mettere la propria conoscenza al servizio della creatività con elasticità e senza avere paura di mettersi in gioco. Tutti assieme questi elementi costituiscono centocinquant’anni di splendida creatività che traghetta la bigiotteria italiana oltre le soglie del nuovo millennio”.
Chissà, forse più d’una signora, sfogliando questa “Storia della Bigiotteria Italiana”, ricorderà con nostalgia le sue “gioie” squisite di un tempo “con il rammarico di non averle sapute conservare perché considerate frivolezze effimere, e non ciò che erano: simboli di stile, documenti di storia del costume”.