La festa più felice dell’anno
“La festa del Natale rimane la più felice dell’anno. Con gioia sovrumana io l’attendevo, ma negli ultimi giorni non stavo nella pelle, contavo i minuti”. E’ piuttosto difficile credere che l’autore di queste parole sia Friedrich Nietzsche, uno dei filosofi che con più tenacia hanno negato l’esistenza di Dio.
Il fatto è che pochi sanno resistere alla forza di gravità del Natale: forse perché questi sono giorni in cui diventa più semplice per tutti, credenti e non, ritrovare la propria condizione umana. Dal mistero della natività cristiana, infatti, ciascuno può iniziare a riflettere sull’esperienza straordinaria, personalissima, che è l’origine della vita nel grembo materno, il più dolce luogo dell’accoglienza.
C’è in tutti (o quasi) un nucleo primario e indistruttibile da cui attingiamo il valore della vita, il coraggio e la costanza di andare avanti giorno dopo giorno. Per credenti e non, quel “midollo” si chiama Natale.
Sono momenti questi in cui ogni cosa prende la giusta intonazione se arcano e simbolo vengono a coincidere. Non è opera di soli sentimenti, benché la carica emotiva sia più forte che mai, ma sono le stesse circostanze ad appellarsi all’intelletto perché accolga l’invito all’evento, oppure lo rifiuti lasciando tutto circoscritto agli orpelli di cartapesta con le luci intermittenti. Le nostre città a Natale sono sempre più “conciate per le feste”, in preda a riti idolatrici collettivi, tanto da oscurare la celebrazione del “Verbo che diventa carne” con le sue grandiose e drammatiche implicazioni: una ricorrenza per molti ormai ridotta a residuato mitico di un’infanzia tenera e ormai stinta.
Allora, per ritrovare la potente suggestione di quella frase giovannea “In principio era il Verbo” potrebbe essere utile anche a noi, così spesso renitenti ai beni dello spirito e intenti a quelli materiali, ripiegare sulla profondità della coscienza e meditare su quel Bambino in cui il mistero è divenuto segno dell’eterno.
Per il poeta Rainer Maria Rilke l’incanto del Natale è opera degli angeli, esseri incorporei e corporei allo stesso tempo, che non mancano mai nelle scenografie di tutte le rappresentazioni natalizie e che costellano buona parte del pensiero e dell’arte dell’ultimo secolo (basti pensare a certe tele di Marc Chagall o a disegni di Paul Klee). Un altro ateo per eccellenza come Jean-Paul Sartre avrebbe voluto assaporare il loro “miele” quando, per bocca di un suo personaggio, rivela: “Perché oggi è Natale avete diritto che vi mostri il presepe. Eccolo… Lo spettacolo è straordinario, tutti questi uomini duri e seri inginocchiati… E io resto nella grande notte terrestre dell’odio e dell’infelicità. Darei la mia mano destra per potervi credere, magari per un istante”.
Per noi comunque, oltre ad una festa cristiana solenne, Natale è anche la festa della tradizione. Malgrado qualcuno cerchi di infrangere la sua aura e di svuotarla dei suoi più profondi significati o, ancora, di ridurla a mera ricorrenza consumistica, non ci vergogniamo di professarci “nostalgici” della festa classica, quella cioè vissuta nella solidarietà e nel rispetto dei riti, fossero pure i più esteriori come l’albero grondante di boule colorate, le ghirlande appese in ogni stanza, il caro vecchio presepe, il vischio alla porta e il panettone sulla tavola ben imbandita, attorno a cui è riunita l’intera famiglia.
Nessun simbolo, in effetti, ci sembra fuori contesto. L’abete richiama naturalmente il concetto di Cristo-Albero della Vita ed i decori che vi si appendono rappresentano la luce e l’amore divini dispensati agli uomini. Le bacche rosse dell’agrifoglio alludono al Sole-Bambino che rischiara l’aurora delle origini. Del presepe sappiamo che venne allestito per la prima volta da San Francesco in una grotta di Greccio, forse nel 1223, ispirato alle rappresentazioni liturgiche descritte dai Vangeli. Babbo Natale – a prescindere dalla metamorfosi in rosso impostagli dalla Coca-Cola a fini commerciali – deriva dalla figura di San Nicola (Sanctus Nicolaus, donde Santa Claus), che fu vescovo di Mira in Asia Minore nel IV secolo, molto amato per la sua carità e benevolenza soprattutto nei confronti dei giovani. Anche il personaggio della Befana, la vecchina tanto brutta quanto generosa con i bambini, ha una lontana origine, identificandosi con un simbolo arcaico di madre natura, poi cristianizzato e celebrato in occasione della “manifestazione visibile di Cristo”, ovvero l’Epifania. Il Capodanno, la cui tradizione era già consolidata agli albori dell’Impero romano, era l’occasione principe per lo scambio dei doni: il 1° Gennaio infatti gli antichi Romani erano soliti invitare a pranzo gli amici e scambiarsi vasi bianchi contenenti miele con datteri e fichi accompagnati da rami d’alloro come augurio di buona sorte per i dodici mesi a venire. Da questa felice consuetudine, quindi, è derivata la nostra pratica di farci regali in questo periodo dell’anno. Offrire qualcosa a qualcuno, insomma, è un po’ come dirgli che sappiamo cosa gli è necessario e vogliamo soddisfare questo suo bisogno per renderlo felice. La moda, la pubblicità, l’abitudine, il dovere, dovrebbero agire solo a margine quando si sceglie un oggetto da regalare: il dono è anche e soprattutto amore.