Addio al Maestro del Colore
“Maestro del colore” (come lo definì il pittore Balthus), stilista “rivoluzionario”, anticonformista e innovativo, atleta olimpionico, esule dalmata e prigioniero di guerra ad El Alamein: Ottavio (Tai) Missoni ha incarnato vari ruoli nella sua lunga vita, conclusasi il 9 Maggio scorso a 92 anni, ma soprattutto è stato un Signore in ogni ambito, uno spirito libero che alla vita ha sempre detto “sì”. Nel 1971 il “New York Times” scrisse in questi termini delle creazioni sue e della moglie Rosita: “È quanto farebbe Coco Chanel se fosse ancora viva, giovane e al lavoro nella moda”; cosicché l’inseparabile coppia negli anni ’80 si trovò ad essere identificata con “La Moda”.
Più che stilista, Missoni preferì sempre definirsi artigiano, dotato di una sensibilità speciale per le sfumature del colore, convinto comunque che: “Il colore appartiene a tutti. Ognuno ha i suoi colori, la natura è fatta di colori. Se poi il colore viene a far parte del tuo mestiere è un altro discorso: il mio era quello di fare maglie. I miei strumenti di lavoro erano due: materia e colore. Poi tutto cambia con l’esperienza. Pensa alla musica: le note sono solo sette, pensa a quante infinite melodie sono state composte. I colori di base sono ancora meno. Guarda gli artisti e la natura stessa, quanto sono riusciti a creare con questi quattro elementi. È qualcosa di cui ti servi a seconda della tua vita e delle persone che ti stanno intorno”.
Così la moglie ha descritto la sua tecnica: “Disegna sulla maglia con dei pennarelli. I suoi disegni sono come spartiti musicali, ogni colore corrisponde a un numero. Non è semplice da spiegare senza mostrarlo. Lui conosce i macchinari, è una tecnica che ha inventato lui”. Ci piace questa immagine di uno stilista che si fa “scrittore” di tessuti, trasponendo quasi se stesso nelle fibre… “Il colore è parte integrante del mio Dna – ha dichiarato egli stesso – Dalla Dalmazia e da Ragusa ho portato con me i blu, che profumano d’oltremare, e i rossi aranciati dei tramonti sull’Adriatico; i gialli caldi screziati d’ocra e marrone parlano di rocce e sabbie, lambite, rimescolate ed erose dalle onde. Non possono mancare i neri, che amalgamano. E poi il viola, mio colore prediletto, in tutte le sue sfumature. Se si guarda bene c’è sempre, anche se non compare a prima vista”.
Ottavio Missoni è stato anche un grande imprenditore, che ha saputo fondare un impero di respiro internazionale con utili netti da 160 milioni di euro. Eppure lui, onesto e sincero con tutti, a cominciare da se stesso, non esitava a confessare: “Io non ho studiato per questo mestiere, me lo sono trovato tra le mani casualmente e mi è piaciuto. Forse vivrei in campagna ed alleverei polli, magari dalle uova colorate. Oppure farei le stesse cose, però sceglierei sempre un genere artigianale. Oggi come oggi mi darei alla progettazione dei giardini. Ho un giardino bellissimo a Sumirago, pieno di fiori tutto l’anno. Li curo da quarant’anni. È il posto preferito dalla mia sposa Rosita. Sì, fare i giardini è proprio un bel mestiere”.
Ironico e autoironico, si divertiva a spiazzare tutti affermando: “Per vestirsi male non serve seguire la moda, ma aiuta” e, scherzando in una trasmissione televisiva, dichiarò: “Non mi chiedete di moda, non me ne intendo, e nemmeno dei miei colleghi, non li conosco bene, li saluto e basta”. Riguardo ai suoi vestiti poi disse: “Non compro abiti firmati, mi metto quello che mi piace. Quando sono stato invitato al Quirinale mi serviva uno smoking… Non producendo io quella roba, sono entrato da Armani e ne ho comprato uno”.
Missoni nacque l’11 Febbraio 1921 a Ragusa (Dubrovnik) da padre di origine friulana e madre dalmata. Nel ‘27 la famiglia si trasferì a Zara, dove Ottavio trascorse la giovinezza. In effetti, egli si considerò sempre un esule dalmata e fino al 2006 fu sindaco di quella città in esilio. Se lasciò Zara, fu per diventare un atleta di livello mondiale (si classificò sesto nella finale dei 400 ostacoli alle Olimpiadi Londra del 1948), e poi, quando la guerra interruppe la carriera sportiva, si ritrovò in Africa e, nel caos dei combattimenti, finì in mano agli Inglesi. Al rientro in Italia, sperimentò il dramma dell’esilio forzato, senza però perdersi d’animo, anzi reinventandosi come modello di fotoromanzi a Milano. A questo punto conobbe la moglie Rosita e con lei creò una piccola impresa d’abbigliamento a gestione familiare: lei disegnava i vestiti e preparava pacchi, lui girava con il campionario cercando di convincere i negozianti a comprare i suoi estrosi tessuti. Proprio quelle righe colorate, nate anche dai limiti tecnici delle prime macchine, assursero a marchio inconfondibile: dal primo attivo di una lira alla vetrina alla Rinascente nel 1958, dalla sfilata a Palazzo Pitti che inaugurò il nude-look alle copertine di “Vogue”, il brand Missoni è oggi un sinonimo di stile, eleganza e fantasia.
Due anni fa era uscita un’intensa autobiografia di “Tai” intitolata “Una vita sul filo di lana”, scritta con Paolo Scandaletti (Rizzoli), mentre nel Marzo scorso era stato presentato al Bif&st Bari International Film Fest il bel documentario “Missoni Swing” firmato dal registac, un lungo dialogo fra l’autore e lo stilista, in omaggio ai sessant’anni dalla nascita della sua maison: da piccola maglieria a Gallarate a colosso della moda mondiale.
Addio Tai, possa tu riposare in un altro mondo di colore.