La luce rimasta dentro
Che sollievo -nei momenti in cui tutto pareva ancora buio, e chiuso, e precario, e triste- ricevere notizie in cui si annunciava finalmente luce, apertura, stabilità, fiducia…..
A metà Maggio, una mail dell’ufficio stampa di Pirelli Hangar Bicocca ci ha ufficialmente annunciato la facoltà di entrare nuovamente in questo luogo meraviglioso milanese per fruire delle sue bellezze….
“Da sabato 23 maggio, Pirelli HangarBicocca riapre le porte al suo pubblico dopo la chiusura degli spazi espositivi legata all’emergenza sanitaria. I visitatori avranno quindi la possibilità di riammirare nello spazio delle Navate la mostra “….the Illuminating Gas” di Cerith Wyn Evans (Llanelli, Galles, Regno Unito, 1958)…..”
Sì. Riammirare.
È proprio questo ciò di cui avevamo bisogno.
Riammirare, ritrovare, riapprezzare.
Ricominciare, pur con la giusta prudenza.
E tornare lì, varcarne la soglia, respirare quelle altezze….è stato quasi commovente, rituale, taumaturgico.
Risale ormai all’Ottobre 2019 l’inaugurazione della mostra (curata da Roberta Tenconi e Vicente Todolí) di Cerith Wyn Evans, l’artista gallese che ha fatto della luce il suo principale materiale d’opera e della vita -parole sue davanti a noi catturati dalla sua coltissima personalità- un vero evento…..
Alto, vestito in modo eccentrico e alternativo -un tabarro color tabacco, pantaloni fluidi vagamente “gonneschi” sopra la caviglia, un grande cappello grigio e scuri occhiali tondi-, sicuro nel trasmettere il senso del suo lavoro che riunisce scultura, lettura, musica, fotografia, storia dell’arte, filosofia….
Un polo d’attrazione difficile da dimenticare perché immenso, plateale, continuo.
Una esposizione -la più grande realizzata dall’artista (avrebbe dovuto terminare il 23 Febbraio 2020 ma è stata prorogata fino a fine Luglio 2020, oltre alla fruizione online)- “….concepita come una composizione armonica in cui luce, energia e suono offrono ai visitatori un’esperienza sinestetica unica”.
Ventiquattro opere, tra lavori preesistenti e nuove produzioni, pronte a coinvolgere totalmente in un’aura dove, ad ogni sguardo, paiono fondersi sensazioni inaspettate e irripetibili.
La luce abbagliante che grida la sua potenza, l’intreccio di forme che, come un elegante arabesque, pare danzare nell’aria, il tempo -e la sua “durata”- che traduce e trasforma il movimento apparentemente statico e immutabile.
Un intrico di sentimenti trasposto nella materialità: questo si percepisce oltrepassando la coltre nera di divisione tra l’ingresso e la scenografica “offerta”…
Wyn Evans trasferisce tutte le sue radici -il cinema, la subcultura londinese post-punk, la passione per le arti plastiche e per i flemmatici movimenti degli attori del teatro giapponese Noh- in una esplosione di spettacolari linguaggi e di innovative ricerche percettive.
Per stupire, ma forse più per stupirsi. Per riconoscersi.
Ed ecco che, al pari di ciechi improvvisamente graziati del dono della vista, ci si perde beati tra quei segnali luminosi, quelle scritte al neon, quei fuochi d’artificio così ben resi, quei lampadari inarrivabili, quelle colonne di luce svettanti a tal punto da non vederne la fine, quei rimandi agli amati artisti storici come Marcel Duchamp e Marcel Broodthaers.
L’impressione è che la miriade di riferimenti a cui alludono le varie opere sia un perfetto compendio della cultura del ventesimo e ventunesimo secolo mescolata con garbo e maestria da chi ne possiede tale e tanta conoscenza da avere l’urgenza di condividerla a cascata generosamente.
Una ricchezza interiore così grande da non poter tenere per sé e da esternare -facendola traboccare a mani piene- macroscopicamente.
“Il potere evocativo dell’arte e la sua capacità di creare collisioni tra significati differenti, interrogandosi spesso sul confine tra il visibile e ciò che non è possibile vedere a occhio nudo, tra materiale e immateriale”. Questo il cuore del cuore di Wyn Evans.
Tutto è dunque un continuum, una circolarità, uno slancio.
La luce tipicamente fredda dei neon si veste qui di calore e si riempie di leggerezza, gli specchi riflettono onde sonore e non volti, ovunque ci si volti ci si scontra in magiche gibigianne o in toccanti e intense lettere luminose…..
Tra pochi giorni la pausa estiva spegnerà i riflettori su molte situazioni dando l’impressione di perdita o di mancate occasioni.
Tenere acceso il fuoco di qualcosa che ci ha trasmesso energia e ci ha permesso di non soccombere in circostanze che hanno messo alla prova il mondo intero è doveroso oltre che salvifico.
Guardare in alto dove ciò che sembra notte è in realtà stracolmo di chiarore diventa, come ci insegna Cerith, un grande atto di umiltà e fa tornare alla mente un vecchio proverbio Maori che dice:
“Porta il tuo viso verso il sole e le ombre cadranno dietro di te.”