Charleston
E un e du e tre e quattro”¦”¦Immaginate la rumorosa vitalità di una notte danzante, in un fumoso nigth club: risate lascive, whiskey on the rocks e lunghi bocchini. Immaginate un primo dopoguerra che sarebbe diventato l’anticipo di una nuova, grande guerra: pochi soldi, poco lavoro, e un desiderio smisurato di divertimento, leggerezza, edonismo. Correvano gli anni ’20 quando in America esplose il ballo che fece subito tendenza: il charleston. Di derivazione jazzistica, eseguibile da soli, in coppia o in gruoppo, il charleston è senza dubbio il più brioso, gaio e scoppiettante ballo dell’epoca moderna. Il tempo sincopato in 4/4, che si collega con il Rag Time (letteralmente tempo strappato o con inciampo), è la sua caratteristica fondamentale ed è l’ennesima conferma di come in tantissimi balli si sia miscelata la musica degli afro-americani con quella di origine europea.
Deve infatti il suo nome alla città di Charleston, nella Carolina del Sud nella quale nacque appunto come danza folcloristica della popolazioni di colore. Divenne poi popolare negli Stati Uniti nel 1923 grazie alla canzone The Charleston di James P. Johnson. Raggiunge la sua massima popolarità intorno al 1925/26, in un momento molto particolare della storia americana e del resto del mondo. La popolazione vive con frenesia e dissolutezza questo periodo, quasi presagendo il catastrofico crac economico del 1929, facendo cose pazze e dedicandosi al consumismo più sfrenato. In questo clima elettrizzante e di generale euforia non poteva certo mancare un ballo che rispecchiasse quello stato d’animo e che caratterizzasse il periodo.
Il charleston viene preso come emblema: musica allegra e gaia, ritmo eccitante, gonne frastagliate, collane di perle, la classica e rizza piuma sul cappellino, abitino dalla personalità fatta di frange in perline e canottiglia che creavano effetti visivi e sonori, lustrini, paillettes e boa di struzzo.
Sinonimo di emancipazione femminile, quella più provocante: la donna è più audace, vuole divertirsi e… scandalizzare: fuma, guida l’auto e si scatena nel ballo. Sull’onda della moda americana indossa abiti dalla linea scivolata e sbarazzina, confezionati con stoffe leggerissime. I vestiti hanno la cintura molto bassa, disegnano i fianchi e mettono a nudo braccia e spalle. Le gonne corte fanno uscire allo scoperto le ginocchia e le scollature larghe e profonde si fanno avventurose. Scompare il reggipetto, sostituito dalla brassière, che fascia ed appiattisce: il fisico è snello e sotto l’abito il seno deve essere appena accennato. I capelli hanno il taglio corto “à la garçonne” e ostentano invitanti tirabaci, che sfiorano appena gli zigomi. I gioielli lasciano il posto alla bigiotteria e due o tre giri di collane di finte perle scendono sul davanti fin oltre la vita.
Insomma, un modo per esorcizzare gli attributi della femminilità di vecchio stampo, a favore di modi e comportamenti destinati a costruire l’eredità delle generazioni future.
Ed è proprio a questa immagine di donna che gli stilisti si sono ispirati per molte delle collezioni primavera/estate 2009. Essi hanno riscoperto proprio in quel delicatissimo ventennio un’ispirazione da attualizzare, strizzando l’occhio ad una femminilità sfoggiata con charme. Quegli anni di decadente edonismo tornano ad incantare il nostro immaginario, e lo fanno in un periodo storico, economico e sociale sicuramente difficile.
Le passerelle non riescono a prescindervi, lasciano in sordina i toni troppo glam, dimenticano per un attimo il cieco positivismo degli anni “˜80 e tornano indietro. Le linee dritte che disegnano senza costruire, le frange nervose, i colori essenziali hanno reso omaggio ad un’estetica che per decenni ha animato soltanto le feste a tema.