Il trionfo dell’etnico
La globalizzazione fa tendenza. Le collezioni primavera-estate 2005 guardano ai Paesi lontani, esotici e suggestivi. Il multietnico, che la moda fa proprio, sembra diventare per il consumatore una nuova frontiera della sua identità. Dimenticare le proprie origini. Immergersi in un clima dove non hanno spazio punti di riferimento precisi: le proprie radici, le proprie tradizioni.
Il trionfo dell’etnico. La tendenza non è nuova. Negli anni ’60 gli stilisti iniziano ad ispirarsi a popoli lontani e ancora sconosciuti. Attingono agli abiti-costume dell’Africa, del lontano Oriente o delle Isole del Pacifico; ma anche ad etnie minori, i pellirosse d’America o gli zingari. Sulla fine degli anni ’70 una famosa collezione di Sant Laurent porta in passerella le tradizioni dei popoli dell’est europeo. Quindi, parei polinesiani o sarong indonesiano, kaftani e pantaloni alla turca, kimono giapponese, sari indiano e pantaloni jodhpurs, e l’elegante djellabah marocchino con il suo cappuccio e le sue lunghe maniche, o le gonne a balze e gli scialli coloratissimi degli zingari sono tutti costumi che hanno già ampliamente ispirato altre e passate collezioni.
Lo stile etnico ha segnato tutte le sfilate. I richiami sono alle tradizioni indiane, giapponesi o cinesi. Ma anche alle piccole etnie come gli abiti del popolo rom reinterpretrati da Romeo Gigli. Anche l’Africa è presente: dal Marocco all’Africa del popolo Masai.
Le contaminazioni con li tradizioni asiatiche si ritrovano nelle camicie con le maniche tagliate a kimono e negli abiti stretti in vita come da obì, le larghe fusciacche annodate sul davanti del kimono. Troviamo giacchine a chiusura asimmetrica di ispirazione cinese, pantaloni persiani o una rientepretazione del jodhpurs. Ed ancora, i decori tipici di questi Paesi: le collane, i ricami, le pietre, gli specchietti, tutto ciò che moltiplica la luminosità. L’utilizzo dei tessuti come la seta, shantung, il raso, il broccato segnano l’elemento più classicamente asiatico.
Ma qui si impone una considerazione. Più che ad una vera ispirazione, che in alcuni stilisti è innegabile, viene da pensare al tentativo di conquistare, utilizzando le loro fogge più tradizionali, Paesi che si aprono ad essere nuovi mercati. Paesi con una grande tradizione di lusso, che, se a loro volta conquistati dalla moda Mady in Italy, saranno una buona risorsa economica.
Guardiamo ora questa tendenza dalla parte del consumatore. Si può ipotizzare che con la globalizzazione si stia instaurando un avvicinamento ad altre culture, anche le più tradizionalmente emarginate come il popolo rom. Da ciò ne potrà derivare un reciproco apprezzamento, dagli effetti certamente positivi. Dall’altra però il multietnico – che la moda fa proprio- sembra essere diventato per il consumatore una nuova frontiera della sua identità. Dimenticare le proprie origini. Immergersi in una plurietnica dove non hanno spazio punti di riferimento precisi: le proprie radici, le proprie tradizioni.