L’eleganza del linguaggio
L’abito non fa il monaco, ma il linguaggio sì, perché denota immediatamente lo stile personale ed il livello di raffinatezza che la persona possiede. Purtroppo un malinteso senso di libertà sta identificando l’emancipazione femminile nel tono disinibito, nel comportamento aggressivo, nel parlare sboccato.
Il parlare ha tante componenti e tante sfumature: il tono di voce, il vocabolario, il garbo con cui si porge un’argomentazione o un suggerimento, la discrezione nel dire e nel domandare, la prudenza nel riferire fatti ed opinioni. Guardare negli occhi e dedicare tutta la propria attenzione all’interlocutore, saper chiedere usando un “per favore”, saper ringraziare, sono forme elementari di buona educazione da mettere in pratica ovunque, sul lavoro, in un salotto, in famiglia. Ma sono anche particolari forme di eleganza che definiscono lo stile personale.
Si può dire tutto, con il tono di voce adeguato: né troppo basso da costringere chi ascolta a grandi sforzi, e neppure troppo alto perché risulta sgradevole o volgare.
Bisogna sempre usare una forma corretta. Quando diciamo correzione nel parlare pensiamo immediatamente alle parole che devono essere usate, e all’uso delle regole grammaticali e sintattiche. Le parole riproducono concetti, indicano oggetti; ci servono a comunicare con gli altri, esprimono le nostre conoscenze, ma anche i nostri sentimenti. Quanto più ricco è il nostro vocabolario, maggiore è la nostra capacità di esprimerci con precisione e di farci comprendere dagli altri. Non stiamo riferendoci all’uso di vocaboli troppo ricercati o di un fraseggio complesso e involuto: più si è colti e più si è capaci di parlare con concetti e frasi semplici comprensibili a tutti.
Ad ascoltare le conversazioni sul tram viene voglia di dare qualche piccolo suggerimento, e non solo ai giovanissimi. Proviamo ad eliminare gli intercalari o l’uso delle parole che non esprimono concetti o oggetti precisi: ad esempio l’uso della parola “cosa”, o di espressioni più volgari indicanti organi sessuali, che evitiamo di trascrivere, per indicare qualsiasi oggetto, quasi effettivamente non possedessimo altre parole con cui esprimerci. Non basta però l’amplio vocabolario a renderci eleganti, è necessario eliminare parole o espressioni volgari.
L’uso delle parolacce è ampliamente diffuso a tutte le età ed in tutti i ceti sociali: il cinema, la televisioni e i romanzi in voga non ci aiutano a ripulire le nostre espressioni. Se le parolacce risultano poco eleganti per chiunque, sono da stigmatizzare in bocca ad una donna. L’abito non fa il monaco, ma il linguaggio sì, perché denota immediatamente lo stile personale ed il livello di raffinatezza che la persona possiede. Quali ragioni possono avere indotto alcune donne ad incorporare un parlare boccaccesco e volgare che stona anche in bocca ad un uomo? Forse un malinteso senso di libertà sta identificando l’emancipazione femminile nel tono disinibito, nel comportamento aggressivo, nel parlare sboccato. Una voglia di parità che si ferma ai fatti più marginali e all’imitazione di quanto è inelegante anche per l’uomo? Ma forse è possibile identificare qualcosa di ancora più profondo che tocca l’unità della persona. La parolaccia, quella con contenuto sessuale, in bocca ad una donna sembra il segno di una dissociazione: la scissione tra amore e sessualità. Ci parla cioè di una sessualità vissuta ai margini dell’amore, di una sessualità violenta dove prevale il disprezzo e l’uso dell’altro, sull’amore e l’accettazione. Un aspetto di parità sessuale che snatura e sminuisce l’essere femminile.