Dolce Vita o dolcevita?
Che dire di un fenomeno cinematografico che, a cinquant’anni esatti dall’esordio in una sala milanese, parla e fa parlare di sé nella medesima maniera, con il medesimo stupore di allora? Che ha testimoniato un’epoca e, soprattutto, uno stile di vita nuovo che andava ormai imponendosi dopo anni che proprio dolci non erano stati.
Quando, dopo cinque decenni, un film non invecchia, anzi rivela sempre elementi nuovi e si possono scoprire in esso inesauribili spunti di riflessione e di attualità, significa sicuramente che qualcosa di indimenticabile è stato creato. Questo può valere per tantissimi aspetti della vita, a dimostrazione che ciò che è stato tanto ammirato e tanto amato non passa mai di moda, non ha data di scadenza.
Stiamo parlando del film di Fellini “La dolce vita”, naturalmente.
Avendo la possibilità di passare da Torino, alla Mole Antonelliana (Museo del Cinema), fino al 21 di marzo 2010, potremo regalarci l’emozione di trovarci a tu per tu con la rivisitazione del film attraverso gli scatti fotografici carpiti dai “paparazzi” (da lì proviene il nome usato ancora oggi), ma non solo, sul set felliniano nei momenti di pausa.
Moltissime foto mostrano un tipo di abbigliamento che, non solo è raffinatissimo ma è sicuramente bandiera di un’eleganza senza tempo.
Ci si potrà incantare davanti a quegli abiti così femminili portati disinvoltamente e che ognuna di noi, anche soltanto da poter ammirare appesi sulla gruccia dell’armadio, senza la pretesa di indossarli a tutti costi, sicuramente desidererebbe”¦.
Pur nell’opulenza delle forme e nella ricchezza delle fogge, l’aria è sempre sobria e discreta; i colori si immaginano, anche nei completi maschili, tranquilli e misurati.
E poi tanti dettagli con i quali seguitiamo a confrontarci anche oggi: le borse a mano, i foulards legati al collo, i piccoli guantini da sfoggiare in abbinamento magari al cappello, quegli occhiali a gatto. Favolosi anni sessanta, testimoni di una moda che soprattutto voleva sottolineare il gusto della bellezza dove però il senso estetico non risultava frivolo. Al contrario !!! Bellezza come lifting dell’anima.
Era la Roma delle sorelle Fontana (il film “Le ragazze di Piazza di Spagna” ebbe il loro atelier come scenario e un abito indossato da Anita Ekberg fu loro commissionato dal costumista de “La dolce vita”), quella Roma che Fellini, in una intervista in cui gli veniva domandato perché avesse scelto proprio questa città da amare sopra ogni cosa e in cui potesse esprimere al meglio la sua eclettica arte, dichiarò che “Roma è un volto confortante”¦.. è una città orizzontale, di acqua e di terra, sdraiata, ed è quindi la piattaforma ideale per dei voli fantastici”¦.. con il conforto di un cordone ombelicale che li tiene però saldamente attaccati alla concretezza”.
Voli e concretezza, dunque.
Sogni e realtà.
Anticonformismo e tradizione.
Tutto questo ci piace trasporlo a ciò che è di nostra competenza, la moda, lo stile.
Se, infatti, ciò che giace nei cassetti della memoria e, materialmente, nei cassetti degli archivi storici delle grandi case di moda e nei bauli riposti negli angoli di fatiscenti solai è ancora capace di evocare emozioni, vuol dire che il filo conduttore tra moda, arte, costume, storia, cultura, è vivo e vegeto. Significa che il gusto del bello e di ciò che perdura ha un suo peso. Anzi, con il passare del tempo, velit nolit, si rivitalizza e acquista in fascino ed incisività, surclassando quella mediocrità luccicante e superficiale tipica di una moda veloce e che non lascia traccia.
Perché, se è vero che idealizzare troppo il passato non sempre porta a risultati concreti, è anche vero che sottostare ad un presente poco stimolante e tiepido porta solo ad una rassegnazione stagnante.
È soltanto con la curiosità nei confronti del mondo e delle cultura che è possibile gettare le basi per una creatività nuova e, al contempo, destinata a diventare essa stessa cultura.
Quando Fellini ha fatto indossare (e neanche al bel Marcello, così spropositatamente perfetto, bensì a figure minori) quella maglia a collo alto avvolgente e protettiva che cambiò definitivamente il nome ad un capo che fino a quel momento certamente non era stato definito “Dolcevita”, sicuramente non immaginava di essere, oltre che regista, precursore di un nuovo modo di interpretare un semplicissimo pull; e anche se non racchiude in sé un suono onomatopeico, alla fine il nome appare “quasi” tale.
Facile è infatti vederlo “addolcire” una giacca dal taglio rigoroso (avete presente Annie Girardot e Yves Montand in “Vivere per vivere”?) o nascondere “dolcemente” un collo femminile non più freschissimo (Diane Keaton in “Tutto può succedere” e Katharine Hepburn in “Sul lago dorato” ne indossano di meravigliosi, bianchi o crema, su pantaloni tono su tono effetto “camaieu”).
Se “La dolce vita” ha sottolineato un’epoca in cui la tenerezza a volte diventava un po’ cinica e la voglia di vivere un po’ trasgressiva, oggi rappresenta un tuffo nel passato dove tutte noi, forse, vorremmo perderci, magari riparate da un modernissimo dolcevita di cashmere rigorosamente water-proof!