La scomparsa di Maria Pezzi: un ricordo molto personale legato agli inizi di Imore
Maria Pezzi ha raccontato per oltre sessanta anni le sfilate, le tendenze di moda, i nuovi talenti dalle pagine di giornali come La Domenica del Corriere, il Giorno, l’Europeo, Grazia, Donna. Può essere considerata la più grande firma del giornalismo di moda italiano. Nel 2001 le era stato conferito il Presidente della Repubblica il Cavalierato di Gran Croce.L’ho conosciuta poco più di un anno fa durante una serata per la presentazione di una donazione di abiti -base per un futuro museo del costume a Milano?- al Castello Sforzesco durante la settimana delle sfilate di Milano Moda Donna di febbraio 2005. Era accompagnata da una comune amica che me la ha subito segnalata e già lì ci siamo scambiate alcune battute ironiche perché, manifestando il mio compiacimento di conoscerla, evidentemente stavo sottolineando che non era “giovanissima”. Qualche mese dopo la chiamai per telefono chiedendole un appuntamento. Abbiamo trascorso insieme alcune ore davanti ad una tazza di te e biscotti nella sua casa di Foro Bonaparte. Le ho posto alcune domande forse banali, ma per me, che mi affacciavo al mondo della moda, importanti per iniziare a comprendere la complessità di un mondo sconosciuto. Gentile, cortese, rispose con pazienza ai miei quesiti, segnalandomi le tappe fondamentali della storia della moda; indicandomi le luci e le ombre di un tempo trascorso e del tempo attuale,ed anche le incertezze del futuro. Ben conosceva l’evoluzione della moda lei che ne aveva seguito lo svolgimento dall’anno 37 quando si era trasferita a Parigi. Solo nel 1949 inizia a scrivere, seguendo e illustrando con i suoi schizzi- non c’erano fotografi per mostrare i capi- il trionfo della moda francese, dal new look di Dior , all’ascesa di Yves Saint Laurant. Dal 1951 dopo le sfilate della Sala Bianca di Palazzo Pitti, inizia a raccontare la moda italiana e i suoi protagonisti fin dal loro esordio, Capucci, Valentino, Pucci, Missoni e così di seguito.
Parlammo di eleganza e mi indicò un dato essenziale, “non basta avere disponibilità economiche e comprare capi di grande firme per essere eleganti” e così mi segnalò, nella collezione che avevamo visto al Castello, gli errori; non fu tenera con la proprietaria degli abiti, ma ci tenne a sottolineare che l’interessata conosceva il suo giudizio. Parlammo di Buzzati, c’era una fotografia nel salotto; dei suoi figurini -gli schizzi degli abiti con cui accompagnava il resoconto delle sfilate-, molti dei quali, disse con dispiacere, si erano perduti, perché nei giornali non avevano avuto l’accortezza di conservarli. Parlò con gratitudine di Guido Vergani e del libro che le aveva dedicato Una vita dentro la Moda e di una recentissima pubblicazione -l’autore gliene aveva fatto omaggio- di Quirino Conti Mai il mondo saprà. Ci trovammo d’accordo nel giudizio dal momento che ambedue non eravamo riuscite a portarlo a termine. Mi accorsi che stava sondando la mia cultura.
Le raccontai del progetto Moda e Modi e della rivista Imore, che aveva appena iniziato i primi passi. Mi incoraggiò a perseguire i nostri obiettivi, mi disse ce n’era molto bisogno, ” la gente non sa più cosa è l’eleganza; c’è troppa confusione negli stili”. Parlammo dei difetti del giornalismo di moda, delle cartelle stampa così eteree e poco descrittive dei contenuti delle collezioni, delle fonti ispirazioni e degli aspetti tecnici. E mi sorprese chiedendomi “ma lei scrive?” le dissi di no che la mia formazione era di area scientifica e non pensavo di poter imparare; insistette “deve scrivere!” Ridendo le dissi che allora doveva avere pazienza, perché l’avrei interpellata spesso specialmente quando avessi dato inizio in Imore alla rubrica di “Storia della moda”: non potevo trascurare la sua memoria storica di testimone. Purtroppo la rubrica non è ancora iniziata ed io ho perduto l’occasione di avere come maestra Maria Pezzi.