Antonio Marras: intervista-parte I
Antonio Marras ha risposto ad una lunga serie di domande formulate da Marinella Calzona, che ne tracciano il profilo umano e artistico, il percorso professionale e il lavoro creativo quotidiano. Abbiamo preferito non intervenire sulle risposte, per non alterare nulla di ciò che lo stilista ha voluto narrare di sé; anche se ciò ci costringe a mandare in rete il testo in due momenti successivi. Questa prima parte è accompagnata dalle immagini che sintetizzano i primi 10 anni del lavoro dello stilista.
Un suo ritratto, come si definirebbe come uomo e come stilista? Cosa le interessa che gli altri sappiano e apprezzino di lei?
Odio dare definizioni di me stesso: preferisco siano gli altri a farlo. Sono un uomo fortunato che ha il privilegio di fare ciò che più gli piace: un mestiere dove mischiare tutto, ogni possibile forma d’arte, abiti, musica, teatro, cinema, danza.
Come nasce Antonio Marras stilista?
Alla moda sono approdato per caso, non sono nato e cresciuto con l’intenzione di fare lo “stilista”. In realtà ancora oggi odio questa parola, sa di caricatura, di macchietta: l’inglese designer o, meglio, il francese createur mi sembrano avere tutt’altra connotazione. Sulla mia carta d’identità mantengo ancora la definizione commerciante: il mio primo lavoro, ciò da cui provengo. Sono “nato” e cresciuto nel negozio di stoffe di mio padre ad Alghero, e lì ho cominciato a maturare un amore ossessivo per i tessuti. Nel lontano 1988 un imprenditore mi chiese di disegnare una collezione. All’inizio mi parve una pazzia: perché proprio io? Non avevo nessuna esperienza, nessun scuola ufficiale di moda alle spalle: ma decisi comunque di accettare, non avevo nulla da perdere in fondo! Ho lavorato per dieci anni su una linea che non portava il mio nome, ma che ebbe un grosso successo commerciale. E fu proprio questo essere legati al ritorno economico che mi stava convincendo a smettere: ma proprio mentre stavo maturando questa idea, feci un incontro destinato a cambiare la mia vita. Conobbi Maria Lai, un’artista eccezionale, una donna di 80 anni che mi aprì un universo al quale non sapevo di appartenere. E così nel 1996, da solo e unicamente con i pochi mezzi a mia disposizione, scelsi di tentare l’Alta Moda, dove niente era finalizzato esclusivamente alla vendita, grande e pressante censura alla creatività. Quelle collezioni mi restituirono entusiasmo e voglia di fare. Il resto è storia nota.
L’ispirazione viene degli oggetti, dalla natura, da immagini e scene o dagli avvenimenti personali o globali e dai sentimenti?
Arte, cinema, design, musica: tutto, qualsiasi stimolo visivo, qualsiasi forma e materia di natura artistica, artigianale, naturale o artefatta, tutto insomma, anche senza una ragione apparente, può suscitare il mio interesse e, quindi, essere fonte di ispirazione. A volte, può bastare una parola detta da un amico al telefono”¦
Come considera il rapporto moda e arte. E’ un rapporto paritario, oppure, essendo la moda un’arte applicata, semplicemente utilizza richiami ed ispirazioni artistiche?
Credo che oggi queste categorie andrebbero in parte ridefinite; non è più una questione di prestiti o di influenze reciproche, quello che accade realmente è che i confini tra arte e moda diventano sempre più sfumati, al punto che esiste tutta una fascia di esperienze intermedie, difficili da classificare con sicurezza nell’uno o nell’altro dei due ambiti.
Personalmente, ho sempre sentito forte la necessità e l’importanza di lavorare su spazi di autonomia creativa. La libertà è un lusso che mi permetto per creare qualcosa di trasversale alla moda, qualcosa che nasca da momenti di vita indipendenti, come nel caso dell’incontro con Maria Lai o con Carol Rama. La loro modalità corrisponde in modo naturale a ciò che ho sempre creato. Mi viene in mente un episodio che riguarda proprio Maria Lai. Una volta le dissi che avevo copiato un suo disegno. Mi ha risposto: “l’arte è un continuo rubare, non ti preoccupare, io rubo dappertutto. Nel momento in cui la rubi, l’opera diventa tua”. Ecco, mi sembra che questo ci aiuti a capire quanto sia difficile definire un confine sicuro tra arte e moda “¦
Sua moglie e la famiglia nella sua vita.
La mia famiglia è la cosa più importante della mia vita, ed è uno dei motivi principali per cui ho deciso di non lasciare la mia casa di Alghero. Lì ho deciso di far crescere i miei figli, lì ho conosciuto, amato e sposato la donna più importante della mia vita, mia moglie Patrizia, che è parte fondamentale del mio lavoro. Patrizia è la mia fonte di ispirazione, il mio primo e più importante punto di riferimento, il mio primo critico e, allo stesso tempo, il mio stimolo più forte.
La donna per cui crea le sue collezioni ha i caratteri della donna sarda, forte e fiera, o è una donna più globale e quindi più ideale?
Devo confessarle che temo molto questa domanda sulla donna ideale “¦ mi sembra un pochino riduttiva l’idea dello stereotipo di donna da prendere a modello per una collezione. Credo sia indispensabile riconoscersi in un abito, nei suoi segni, nelle sue forme e, soprattutto, in quello che racconta scoprendo la storia della propria identità.
Più che stereotipi od icone, altro termine abusato nella moda, esistono donne che mi attraggono come Pina Bausch, Silvana Mangano, Isabelle Huppert, tanto per fare qualche esempio. Ogni mia collezione racconta una storia diversa, quindi non esiste né un tema ricorrente e neppure un preciso tipo di femminilità a cui io mi riferisca sempre: come dicevo prima, trovo molto riduttivo e poco rispettoso delle donne ridurle ad un “tipo”. Io amo le donne, specialmente quelle forti, intelligenti, creative ed indipendenti.