Guardando ad Oriente
Negli ultimi anni la penetrazione dei mercati emergenti da parte dei brand del lusso e della moda è diventata, in maniera sempre più crescente, una delle principali strategie competitive e il mezzo che più di ogni altro sembra soddisfare le esigenze espansive dei giganti della moda è il retail. Se fino agli ultimi decenni del secolo scorso la penetrazione di mercato veniva associata alla delocalizzazione produttiva, attualmente ci si è resi conto che la costruzione di un effettivo vantaggio competitivo all’interno di economie in rapida ascesa consiste nell’instaurare un rapporto diretto con il consumatore, al fine di creare una solida consapevolezza del marchio.
Tutti i principali gruppi del lusso e della moda stanno incrementando notevolmente gli investimenti nelle cosiddette “economie emergenti”, Cina e India in primis, non ultima l’apertura del nono monomarca Bottega Veneta a Chengdu, centro in forte ascesa industriale ed economica del Sud Ovest cinese.
A fronte di una ormai evidente saturazione del mercato occidentale, le mire del fashion Made in Europe si spostano progressivamente verso economie dotate di un crescente potere di mercato e di un’importanza industriale a livello mondiale che diventa sempre più preoccupante per il Vecchio Continente. Ma come ogni grande progetto su scala internazionale, anche la penetrazione di tali società risulta difficoltosa ed è per questo che le aziende devono essere in grado di studiare nei minimi particolari le caratteristiche di tali mercati, con l’obiettivo di ricercare il modo più giusto per arrivare all’anima del consumatore.
Al contrario di un’Europa che ha sempre respirato una cultura ed una tradizione vestimentaria che vanta radici lontanissime nel tempo, realtà come quella cinese o indiana necessitano di un’educazione al bello e alla qualità che le porti ad operare le dovute differenziazioni all’interno di un mercato così variegato ed eterogeneo come quello della moda. E la principale arma che i nostri gruppi hanno a disposizione è proprio il punto vendita, luogo per eccellenza deputato ad infondere nel consumatore una cultura di prodotto, radicata nelle tradizioni specifiche dei singoli marchi, che possa supportarli nei giudizi e nelle scelte.
Uno dei grandi errori da evitare in riferimento a tali realtà economiche è fare di “tutta un’erba un fascio”, ossia considerare in maniera omogenea i diversi consumatori. L’India ad esempio è sempre stata caratterizzata da una ristretta nicchia di mercato con un impressionante potere d’acquisto, individui che consumavano il lusso nelle principali capitali europee e che fin dalla seconda metà dell’800 risultavano fra i migliori clienti di marchi come Louis Vuitton. L’India inoltre è un Paese che vanta una certa tradizione manifatturiera, soprattutto nell’ambito della lavorazione delle stoffe e delle decorazioni, tradizione che le ha permesso nel tempo di sviluppare una precisa cultura visuale, esemplarmente testimoniata dalle diverse settimane della moda nate nei principali centri urbani. Il consumatore indiano quindi, se anche in una fase di prima accettazione della moda Made in West, è potenzialmente in grado di acquisire una solida cultura di prodotto in tempi brevi. Ed è su tale vantaggio che le griffe europee devono far leva, iniziando con l’apertura di punti vendita nelle principali strade dei centri urbani più importanti. È solo uscendo dalle arcate dorate degli hotel a 5 stelle che il consumatore indiano potrà apprezzare e di conseguenza acquistare i nuovi prodotti. La strategia di retail in questo caso è fondamentale: l’azienda dev’essere in grado di proiettare nell’architettura, nell’arredamento e nella preparazione degli addetti alla vendita tutto il mondo appartenente alla marca, i suoi valori, la sua tradizione, le particolari emozioni che intende trasmettere. Solo così la penetrazione potrà diventare efficiente e significativa.
Volgendo invece lo sguardo al mercato cinese, le strategie adottabili cambiano notevolmente, a fronte di un panorama umano e sociale molto più variegato e già in parte contaminato. La prima fondamentale distinzione da operare nell’ambito dell’ex Impero di mezzo riguarda i centri urbani, tra cui si distinguono le “first-tier cities” e le “second-tier cities”. Le prime corrispondono a città che hanno già raggiunto un notevole grado di sviluppo socio- economico, metropoli quali Pechino o Shangai in cui i marchi del lusso e della moda sono già presenti da diversi anni sia con punti vendita indipendenti sia attraverso la logica del department store. Le seconde invece sono nuclei in rapida ascesa, caratterizzati da un costo della vita sicuramente inferiore ma da un bacino di consumatori ancora molto impreparati. In generale il consumatore cinese, a causa da un lato della mancanza di qualsiasi tipo di tradizione stilistica, dall’altro di un impressionante mercato del falso, non è ancora in grado molte volte di distinguere fra una Chanel ed un Tommy Hilfiger. Sebbene conscio del prodotto offerto dai singoli brand, non sa distinguere fra lusso, moda e mercato di massa. L’unico mezzo attraverso il quale opera le proprie scelte d’acquisto è la pubblicità e più in generale la presenza del logo sul design del prodotto; infatti in Cina le creazioni più acquistate risultano essere quelle più pubblicizzate, meglio se con una vistosa presenza del simbolo della maison in questione. Tale modalità di scelta si spiega soprattutto considerando le motivazioni di fondo che spingono l’individuo al consumo: la società del Celeste Intero si configura come una collettività di tipo interdipendente, in cui il singolo trova legittimazione come individuo solo nell’ambito di un gruppo. Di conseguenza la principale spinta al consumo di determinati oggetti consiste nell’ostentare il raggiungimento di una precisa posizione economica che possa quindi diventare fonte di riconoscimento sociale. Tale fenomeno è ancora più visibile in seguito alla velocissima crescita economica del Paese, che ha visto in tempi brevi il fiorire di nuove classi sociali, provenienti dal basso ma con aspirazioni di grande portata. A fronte di un panorama di tale genere, è quanto mai necessario che i marchi facciano leva sul retail come luogo deputato alla trasmissione dei valori dell’azienda ed inoltre all’organizzazione di particolari eventi promozionali in cui il cliente possa sentirsi considerato e trattato come un “very important people”.
Alla luce di tali considerazioni, emerge l’urgenza per i nostri brand di formulare strategie ad hoc per mercati diversi da quello in cui sono nati e cresciuti, mettendo al centro dei loro interessi il cliente finale, che non è quello storicamente educato alla cultura di prodotto e in grado di operare scelte consapevoli, ma si configura come un consumatore bisognoso di essere indirizzato, per evitare di svilire i valori e i significati che da sempre accompagnano i grandi marchi della Nostra moda.