Lusso di moda o moda di lusso?
In un settore così fortemente segmentato quale quello della moda, risulta talvolta ostico operare le giuste differenziazioni tra i diversi marchi, in base non solo al prodotto offerto ma anche ai valori e ai significati che tale prodotto assume, alla luce di una più o meno vasta e significativa tradizione. Negli ultimi anni, a fronte di notevoli cambiamenti nei comportamenti del consumatore e a fronte di un’incombente esigenza di rinnovamento, i confini fra i diversi ambiti e in particolare fra lusso e moda stanno scemando in maniera progressiva.
Il lusso, storicamente, non ha mai seguito le logiche produttive e stilistiche della moda, ma se ne è sempre discostato volontariamente, proprio al fine di rappresentare e trasmettere un insieme di valori e significati che nulla avevano a che fare con i principi cardine del fashion. L’obsolescenza programmata e la soddisfazione di necessità stagionali non hanno mai guidato le politiche aziendali dei grandi marchi del lusso, che per loro stessa natura poggiavano su basi totalmente differenti. “Datemi il lusso! Farò a meno del necessario” diceva Oscar Wilde, nella sua veste di tuonante e inimitabile provocatore. Ecco, il lusso è l’esatto opposto di utilità, esigenza, soddisfacimento di bisogni materiali e primari. Il lusso è eleganza senza tempo, esclusività, il luogo in cui i sogni si materializzano e il tempo si ferma. Il lusso è prima di tutto la risposta storica alla democratizzazione della moda e tutte le strategie aziendali che lo caratterizzano ne sono una conferma, dalla distribuzione alla comunicazione fino alla selezionatissima produzione su misura. È proprio a causa di una tradizione così massiccia e di un bagaglio culturale da preservare che negli ultimi decenni i grandi marchi del lusso hanno avvertito la necessità di aggregarsi in giganteschi gruppi finanziari, per evitare che l’eccessiva offerta di mercato erodesse le loro attività. Ed ecco che nel 1987 nasce LVMH, nel 1999 con l’acquisizione del gruppo Gucci prende definitivamente piede PPR, insomma l’alta finanza fa il suo ingresso nel lusso, alla luce di una concorrenza industriale sempre più sfrenata.
La moda invece, nella sua accezione più moderna o, oserei dire, post-moderna, si impone compiutamente negli anni ’70, periodo in cui il felice matrimonio fra stilisti e industria porta alla nascita del pret-a-portêr e delle grandi griffe del Made in Italy. Il potere comunicativo di tali realtà aziendali risiedeva nella creatività e nell’immagine del designer, simbolo dei valori trainanti del brand e guru stilistico per il grande pubblico. È a questo punto che la grande industria della moda assume i connotati di un settore in continua ascesa, che riesce a farsi arbitro dello stile e dell’ eleganza internazionale. L’elemento cardine di realtà come Armani o Versace è il cambiamento stagionale, la presentazione di collezioni completamente rinnovate ogni sei mesi che dettano le tendenze imperanti e sono frutto di un costante lavoro di ricerca sartoriale e creativa. Gli abiti sono destinati ad un pubblico molto più ampio rispetto a quello del lusso, sono creazioni pensate per soddisfare le esigenze femminili in qualsiasi occasione d’uso e soprattutto non sono pezzi unici, edizioni limitate o prodotti che incarnano valori di esclusività ed eternità. Gli anni ’80 in particolare vedono il trionfo del total look e gli stilisti italiani sono quelli che più di altri rappresentano una moda ed una creatività al servizio di una donna in carne ed ossa, con esigenze pratiche diventate vincolanti.
Negli ultimi anni, pare però che i confini fra un segmento e l’altro stiano scomparendo, provocando una sovrapposizione di strategie commerciali, produttive e comunicative non trascurabile. I marchi del lusso, grazie al lavoro di singoli stilisti indipendenti, promuovono anch’essi collezioni stagionali, sebbene caratterizzate da una varietà ed una copertura distributiva molto meno invasiva rispetto alle griffe tradizionali.
Nelle intenzioni di tali brand, la sfilata stagionale si configura come una ricerca ed un laboratorio creativo da supporto all’immagine e alla reputazione dell’azienda, che necessita in ogni caso di un certo grado di rinnovamento temporale. Parallelamente il pret-a-portêr sta diventando sempre più esclusivo, edizioni limitate, capi su misura per il singolo cliente, campagne di comunicazione sempre più sofisticate e alla ricerca di valori caratterizzanti.
A quanto pare, le due facce di una medaglia così multiforme quale la moda si stanno avvicinando e sovrapponendo, in una competizione di così vasta portata da coinvolgere anche tanti altri attori periferici.
Le cause di siffatti cambiamenti sono potenzialmente infinite e appartenenti ad altrettanto infinite categorie, di ordine economico, finanziario, sociale e culturale. Forse gli imperativi di bilancio sono diventati estremamente vincolanti a scapito della tradizione, o forse i consumatori vogliono acquistare sogni a prezzi accessibili. O probabilmente si tratta solo di un naturale e fisiologico cambio di rotta in un contesto in cui il cambiamento rimane la principale ragion d’essere dell’intero meccanismo, industriale e culturale.