Donatella Girombelli racconta Genny
Un un libro “Genny” (edito da skyrà) la storia, i viaggi, le case e la moda della stilista imprenditrice.
Nel Palazzo Odescalchi, centro di Roma, una serata dedicata alla moda. L’occasione la presentazione del libro Genny di Donatella Girombelli la stilista imprenditrice che parlando di sè, il rapporto con gli stilisti, i cambiamenti in azienda, le strategie, ha raccontato uun pezzo di storia della moda, aiutata dalle giornaliste di moda e amiche, Laura Laurenzi e Sofia Gnoli e da Isabella Ferrari, elegante in un tubino fantasia rosso e bianco del newyorchese Michale Kors. Elegantissima anche padrona di casa, la principessa Lucia Odescalchi, designer di gioielli, che ha appena inaugurato il suo atelier.
Imore ha intervistato Donatella Girombelli.
“Ho venduto Genny 10 anni fa a Prada, sperando che il marchio non si congelasse”.
Perchè questo libro? un ritorno alla moda?
“Non mi manca il business, le sfilate, quanto piuttosto la creazione. L’ho risolto facendo questo libro. Mi sono staccata da quel mondo, per premiare me stessa. Ho scelto la qualità della vita. Mi sono fermata. Ora vivo le mie case. All’epoca non le vivevo se non di passaggio. Ho ritrovato la mia identità e da qui sono partita per la ricerca spirituale. Ora, dopo il distacco, mi sono riconciliata con il passato”.
Cos’ha significato Genny nella moda italiana?
“L’immagine della donna moderna, non fashion victim, dinamica sobria e attuale. I tailleur che producevo si mettono ancora”
Si sente più vicino a Dior o a Chanel?
“Chanel senz’altro”.
All’inizio del libro c’è questa frase di Yves Saint Laurent “Senza eleganza del cuore non c’è eleganza”. E’ il suo motto?
“Sono molto d’accordo, l’eleganza viene dal modo di essere. si può essere eleganti con una maglietta”.
Ma cos’è l’eleganza per lei?
“la sobrietà, non l’opulenza, nè gli orpelli”
Come è arrivata a Genny?
“Entrai come stilista nel 66 a 18 anni. La moda all’epoca era abbigliamento. Non esisteva il pret a porter. C’era però già l’esigenza di fare un prodotto stilistico. Fu così che venni a contatto con Gianni Versace, allora 18enne, appena arrivato da Reggio Calabria”
Come arrivò a lui?
“Vidi una sua collezione e mi piaceva come interpretava la donna. Rimasi soprattutto incantata dalla poesia. Lo contattai per Genny. Mi disse “Accetto volentieri” e collaborò con noi sino a due anni prima di morire”.
Con Versace come si lavorava?
“Era molto piacevole, potevi stare anche tutta la notte a lavorare con lui senza stancarti, avvertivi la sua energia. E poi c’era sempre il pensiero che non si raggiungesse la perfezione e si cambiava qualcosa nell’abito anche la sera prima della sfilata.”
Lei fa fatto crescere Versace?
“La mia azienda ha fatto crescere Versace e viceversa”.
Intanto stava cambiando il mondo della moda e si passava da Firenze a Milano, dalla sartorialità al pret a porter, la vostra è stata una delle prime aziende a capire il cambiamento
“Il backround della sartorialità non era più di moda, si stava passando alla moda industriale. E Gianni credeva nel pret a porter, diventato poi il business dell’Italia. Per vendere però agli americani ai Giapponesi, per rendere il mercato accessibile, Firenze era troppo poco organizzata. Per uomini di business Firenze non aveva le giuste caratteristiche, difficile da raggiungere. E così la moda si spostò a Milano”.
Genny fu uno dei gruppi più importanti d’Italia a inizio anni ’80
“Era uno dei gruppi più importanti del made in Italy, fra modernità e creatività. Mio marito, l’imprenditore Arnaldo Girombelli fonda la griffe Genny artigianale che poi diventa un gruppo industriale con più marchi, tra cui Biblos e Complice”
Come intende la moda?
“Essendo donna sono alleata della donne, della bellezza. Non mi piace mettere la donna in ridicolo, cosa che invece qualche volta succede per gli stilisti uomini. La donna si deve sentire bene in un abito. E se l’abito è giusto è più sicura e quindi elegante”
Cosa le ha dato la moda?
“E’ stata la mia vita, mi ha insegnato molto”.
Ha avuto rapporti di amicizia, consigli con le stiliste italiane?
“Sì con Krizia, le sorelle Fendi”.
Cosa cambierebbe oggi della moda?
“Tutto. Oggi l’input è di danno verso la donna con cose strizzate che costringono a diete dimagranti, scarpe che sono strumenti di tortura. La donna deve sentirsi morbida e non con una corazza”.
Lei è stata prima stilista e poi manager dell’azienda di famiglia, come ha vissuto questo cambiamento, dalla creatività al business, alla scelta degli stilisti?
“Quando nasce il pret a porter c’è bisogno di stilisti. Il prodotto non è più l’abbigliamento ma il prodotto moda”
Genny in questo senso è pioniera.
“Negli anni 80 già pensavamo alla globalizzazione, conquistando i mercati di tutto il mondo e fu tra le prime maison a lasciare Firenze per Milano”.
Tra gli stilisti che hanno lavorato per il suo gruppo industriale, oltre a Versace, anche Dolce e Gabbana, il francese Christian Lacroix, Alessandro dell’Acqua, la newyorchese Rebecca Moses, tanti stili diversissimi..
“Biblos era rivolto alle giovanissime, alla ragazza spontanea che si divertiva. Complice era per le fashion victim, quella che voleva essere a tutti i costi trendy, Genny per una donna dinamica e moderna. Alessandro dell’Acqua disegnò una seconda linea. Gianni Versace interpreta una donna romantica all’inizio, ma quando acquista sicurezza, forte del successo, diventa più aggressivo. Cambia direzione e diventa molto barocco. E’ la donna decorata degli anni ’80. La moda anticipa i cambiamenti, i desideri. C’è una saturazione dell’opulenza anni ’80. C’è una stanchezza di vestire le donne in quella maniera. Volevo una donna senza orpelli. E’ il fenomeno del minimalismo, un fenomeno di costume, che ha coinvolto non solo la moda, anche l’architettura, la cultura. Rebecca Moses è una stilista minimalista, e la scelsi”
Ama il minimalismo nella moda?
“Per essere minimalisti il taglio deve essere perfetto, il colore magnifico e il materiale eccezionale. Cosa che riesce a Rebecca Moses”.
Un errore che la donna non deve commettere?
“Pensare che l’abito che sta bene all’amica stia bene anche a lei. Ognuno deve conoscere se stessa, sapere quale colore sta bene, capire il taglio che sta meglio, valorizzandosi. La moda ci deve aiutare a sapere cosa ci sta bene”
Le icone di eleganze?
“Chanel e Jaqueline Kennedy”
Uno stilista che sceglierebbe oggi?
“Giambattista Valli. Non è improvvisato, fa una grande ricerca nei tessuti e nei tagli”.
E’ stato superato il too much. Valentino se n’è andato in tempo?
“Senz’altro. Non ci si veste più così. Non ci sono più le occasioni per quell’eleganza opulenta. E’ vincente la sobrietà, l’essenzialità per arrivare alla profondità”.
Il libro, soprattutto fotografico, costa 80 euro e il ricavato andrà a favore dell’Istituto Nemo di Milano che si occupa dei bimbi malati di sclerosi multipla e all’Airc, ricerca sul cancro.