Gaia Pace: “Eleganza innata, nasce da dentro”
L’eleganza?
“E’ innata, uno stato interiore” ne è sicura Gaia Pace, stilista romana, madre di tre figli, che concilia famiglia arte e business. Dal 2002 infatti il suo marchio è sul mercato, distribuito a Roma, Parigi e Shanghai.
Oltre a disegnare le collezioni, fa l’imprenditrice e lavora tra Roma, dove ha uno show-room ai Parioli, vicino a Villa Borghese, e Parigi, dove la collezione è rappresentata in uno show-room di rue du Faubourg Saint Honoré.
E’ stata definita da Vogue.it, in occasione dei saloni del Pret-à-Porter dello scorso marzo, uno dei nuovi talenti internazionali. Regina del jersey o “M.me Jerseyino” come la chiama qualche collega: “Utilizzo il jersey perché è un tessuto contemporaneo, adatto per i ritmi della donna di oggi che lavora, viaggia e pretende comfort e charme, indossando lo stesso abito, dalla mattina alla sera, dall’ufficio alla cena di lavoro, in un consiglio di amministrazione, come a un cocktail”.
Veste donne imprenditrici, professioniste, parlamentari. Le linee sono morbide, le camicie hanno un collo importante, con un taglio ben definito, che sottolinea il viso e ringiovanisce. Ama anche le stampe, i ricami. C’è un abito, nel suo showroom ai Parioli , che ricorda le ballerine di Degas, lei infatti è anche storica dell’arte e del costume. E ha un background di tutto rispetto. E’ stata responsabile ricami di Christian Dior, prima di arrivare a Parigi ha lavorato a Milano a fianco di Gianfranco Ferrè. Sa quindi cosa significa eccellenza. “Lavorare con Ferrè per me è stata una scuola. Ho imparato a non fermarmi al primo risultato, ad approfondire, ad andare oltre, a cercare sempre nuove soluzioni”.
Cosa ti ha dato lavorare per Dior?
“Ho potuto confrontare i modi diversi di lavorare, il mondo milanese più legato al prèt à porter, e la moda parigina, leader dell’haute couture, quella che lancia un’idea, una tendenza. Due eccellenze e due modi di pensare la femminilità molto diversi. Per l’Italia la moda è quotidianità, è il forte rapporto con la maestria industriale. A Parigi è spettacolo, un “coup de théatre”che vuole stupire”.
Sei una stilista donna, vedi una differenza con i tuoi colleghi uomini?
“Gli stilisti uomini sono più staccati, avvertono la femminilità in modo diverso. Sono più vicina alle donne, la femminilità mi appartiene”.
Lavori in una nicchia di eccellenza, ma questo – al centro di un mercato globalizzato dove tutti da Parigi a Tokyo a New York si vestono allo stesso modo – è premiante?
“Mi sento paladina del made in Italy, lo percepisco come un dovere sociale. D’altronde l’Italia ha una meravigliosa tradizione, siamo figli del Rinascimento, non possiamo perdere la nostra caratterizzazione nel mondo gloabalizzato”.
Il tuo target?
“Mi rivolgo a donne contemporanee, viaggiatrici, colte con abiti urban chic”.
L’ambiente parigino è stimolante?
“Moltissimo. Per me ha un fascino irresistibile da sempre. Quand’ero da Dior ho collaborato con Lesage, uno dei principali creatori di ricami al mondo, a cui da sempre si sono rivolti i “Grandi “, a partire da Yves Saint Laurent”. Fare ricerca nei suoi secolari archivi è stata una delle emozioni più vive che custodisco di quel periodo”.
Ora l’alta moda ha ancora un significato?
“Negli anni ’80 le clienti dell’alta moda erano duemila al mondo, ora se ne contano meno di cinquecento”.
Per questo fai prèt a porter?
“Non ha senso fare alta moda, l’alta serve per l’immagine delle griffe. Io desidero parlare un linquaggio di quotidiana seduzione “.
Cos’hai imparato da Ferrè ?
“Il rigore, l’incessante ricerca. Davanti a un risultato esigeva di più. Mi ha insegnato la sete di perfezione. L’intransigenza, l’umiltà, il saper lavorare intensamente e con passione”.
E da Dior?
“Ho imparato l’internazionalizzazione. Discutevo le linee dei ricami con aziende italiane, francesi, indiane. Da Dior avevo questa percezione: di essere entrata in un pezzo di storia della moda ,con la M maiuscola”.
Perché poi hai scelto il jersey, stoffa principe delle tue collezioni?
“Amo la moda fluida di Coco Chanel ,le ricerche di Madame Vionnet. Allora il jersey era un vero messaggio di rottura. Oggi ritengo che sia il tessuto principe per l’abbigliamento contemporaneo, un tessuto che ti mette a tuo agio. Ha una versatilita’, un carattere. Ti permette di entrare in relazione, perché non sei ingessata. E’ una parte di te, uno strato di pelle. Adoro studiarne la caduta, drappeggiarlo sul manichino, e poi disegnare la soluzione ottenuta per tirare fuori dei capi di linearita’ ricercata. E’ un tessuto dinamico”.
A Parigi sei stata impegnata in un’esposizione ed ora in un evento culturale?
“Sì, ho partecipato come ospite d’onore ad una mostra itinerante di artisti internazionali, interpretando in chiave sofisticata la ceramica nella moda. Attualmente sto lavorando ad un progetto appassionante che esprime la versatilita’ della mia esperienza, di cui ti parlerò più avanti. Amo le sfide “.
Per ogni informazione su Gaia Pace www.gaiapace.com