Un arabesco molto accattivante
Nella profusione di eventi, incontri, defilè, presentazioni che – in un tourbillon festoso aiutato anche dalla dolcezza del clima – ha caratterizzato l’ultima edizione della settimana milanese della moda, si sono viste delle vere “chicche”.
Tra le tante, una in particolare ha agganciato la nostra attenzione. L’invito alla manifestazione si apriva dicendo:
“”¦”¦..a l’Arabesque, dove una sfilata immobile di abiti neri vintage vi riporterà all’eleganza che ha oltrepassato il tempo”¦”
Grande la curiosità. E ancor più grande l’aspettativa. Entrambe soddisfatte, una volta entrate in questo “antro” magico, ricco di cultura e di fascino.
La felice scelta del nome, innanzitutto.
“L’Arabesco”, con il suo intrinseco significato volto a voler trasmettere agli occhi di chi osserva una piacevole suggestione di quiete, di armonia e di bellezza. Si dice che questa espressività artistica in spagnolo venga chiamata con un termine che significa “l’usare come unità-base la foglia o il fiore, privata della sua forma naturale per non dare un senso di debolezza e di morte, trasformandola in forme che suggeriscano la sensazione di esistenza e di immortalità”.
Fantastico!!
Il destino nel nome.
Gli arredi, per proseguire.
Pezzi originali di Venini, di Zanuso. Armadi anni ’40 aperti a mostrare il proprio raffinato contenuto, tavolini anni ’30 a supportare con delicatezza oggetti rari.
Far sì che l’eleganza, lo stile, la grazia delle forme, la ricerca e la cura delle rifiniture, il gusto del bello trasferito ovunque, l’amore e la passione a fare da sfondo e da contorno “¦”¦ non tramontino mai.
Far sì che rimangano “immortali”.
Questo forse il messaggio voluto indirizzare “all’altro” da Chichi Meroni, eclettica e perfetta padrona di casa di tutto ciò.
Questo, ci è piaciuto interpretare.
La sua idea di “sfilata immobile” – dove abbiamo visto affiancati , tutti rigorosamente neri con solo qualche timido sprazzo di bianco o di amaranto, abiti usciti dalla genialità di Dior, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pirovano e molti altri “grandi”, negli anni in cui la femminilità veniva vestita e non travestita- ha aperto in noi una voragine.
Da colmare. Da riempire. Da ricostruire.
Ci ha mostrato il vuoto di certi modi odierni di abbigliarsi in cui, dietro una facciata ammiccante e lusinghiera, c’è però ben poco.
I suoi abiti muti, collezionati nel tempo e da cui trae spunto per reiterarne di nuovi, ci hanno invece parlato, ci hanno fatto desiderare con ansia la bellezza concepita come necessità dell’anima, come rispecchiamento di qualcosa che è già dato, come riconoscenza a ciò che di meraviglioso ci circonda. Una sorta di ode al vero stile. Che qui si riproduce sartorialmente. Pazientemente.
Accanto ai preziosi manichini, discreti testimoni di una creatività esuberante, ecco apparire le altre ricchezze di “casa Meroni”.
Le collane di Miriam Haskell, le borse di Roberta di Camerino, le ballerine prodotte appositamente da Porselli per l’Arabesque, le incredibili ed autentiche ampolle per l’alta profumeria Caron che prudentemente racchiudono fragranze inebrianti e che ognuno può distillare a proprio piacimento.
E poi le frivole scarpe anni ’50 in camoscio grigio perla o in seta blu scurissimo, le cinture color cacao di Hermès, i falpalà e i nastri applicati ad abundantiam su sciarpe, gonne e cappelli , i piccoli pezzi di frusciante lingerie, e una inimmaginabile e straordinaria serie di libri sulla moda, il cinema, l’arte – e la loro interdisciplinarità- categorizzata come “Gli introvabili”.
Una reale caccia al tesoro dove però, il tesoro, si rivela e si svela in continuazione, anche senza cercarlo.
Un reale bagno di purificazione da tanta omologazione imperante, oseremmo dire. Senza note stucchevoli o retoriche.
Abbiamo capito, uscendo da questa “occasione” ricevuta, che l’emozione di un momento può perdurare a lungo e che, anche senza l’uso di figure tangibili e itineranti, un abito “vero” -un “vero” abito- muove e smuove ugualmente tantissimo, trasmettendo una vitalità incontrastata.
Senza fermare mai, pur da fermo, questa sua educata peculiarità.