Meno male, l’autunno!
Credevamo proprio di potercela cavare, quest’anno. Scagli la prima pietra chi non l’ha pensato almeno per un attimo. Niente cappotti o giacconi grevi, niente maglioni o sciarpe ingombranti, niente cappelli o guanti pruriginosi……. Niente di niente.
Tepore sino a ottobre inoltrato, fine-settimana ancora all’insegna di un clima vagamente vacanziero, calze dimenticate sbadatamente nei cassetti -in un lapsus freudiano significativo. Sicuramente paghe di questa “interminabile” estate ma, sotto sotto, desiderose anche di un giusto e fisiologico cambiamento. È il corpo stesso che ora “chiama”, che anela a rifugiarsi in qualcosa di caldo, di protettivo, di avvolgente.
Tutto è pronto, ormai da mesi, per accontentare questa voglia, questo bisogno. È da fine giugno che ne siamo esageratamente circondate, e attratte”¦ e tentate.
A partire dal cappotto, il capospalla per eccellenza”¦”¦. Bello, grande, lungo -anzi, lunghissimo; morbido, pur essendo spesso severo all’apparenza; generoso, nella sua peculiarità di contenere e di coprire tutto il resto. Finalmente protagonista indiscusso della scena, superbo interprete di ogni “fredda” situazione, in un copione di cui nessuno di noi può essere regista. Imbottiti, piumini, mantelle, pur essendo abbondantemente presenti, gli cedono umilmente il passo, diventando semplici comparse. Sì, il paletot, in tutte le sue varianti, risulta compagno fedele di ogni circostanza, da quella più formale a quella più disinvolta. Del resto, si sa , c’è cappotto e cappotto. E pochi capi d’abbigliamento come questo sono in grado di declinare i modelli base in una miriade di fogge diverse. Basta un collo a contrasto, un’insolita ampiezza di manica, una martingala più alta o più bassa, un’allacciatura particolare -meraviglioso il doppiopetto e attualissimi gli onnipresenti alamari-, una zip birichina invece dei consueti bottoni, una cintura di cuoio anziché quella in stoffa analoga”¦”¦ ed ecco che il dado è tratto. Che sia un “cappottino” dal taglio secco e dalle spalle ben segnate o un “cappottone” dalla linea fluida e abbondante; che sia in mascolino tweed o in romantico velluto, in cashmere soffice come seta o in scattante e confortevole flanella; che sia quasi androgino o seducentemente femminile”¦. è “lui”, pur convivendo pacificamente con il resto nel medesimo armadio, a spodestare tutti quegli indumenti super-tecnici che hanno effettivamente un po’ stancato. I colori da scegliere rispecchiano la classicità. Via libera dunque ai cammello, ai grigi, ai blu”¦”¦ ma anche a qualche divertente scozzese o a inattese tinte forti come gli arancio, i rossi rubino, i verdi sottobosco. Se qualcuna se la sente, dimostrando grande sicurezza e grande classe, il bianco totale, presenza costante -insieme al nero assoluto- di ogni passerella precedentemente vista. Da vera e sofisticatissima lady.
Bordi di pelliccia -sorvoliamo sui giudizi, limitandoci a descrivere i fatti- ovunque. Novità vera, quelli applicati sull’orlo, meglio se appena sotto il ginocchio. E, decisamente anti-gelo, quelli predisposti a formare ciambelle al posto dei colli e che non fanno rimpiangere sciarpe e sciarpette. Il pelo più “gettonato” risulta essere quello di volpe, ma anche la mongolia, con il suo bel tratto che richiama reminiscenze anni ’70, si affaccia con fresca disinvoltura, spigliatamente rinvigorita e reinterpretata da abili e a volte spregiudicati stilisti.
Se proprio proprio non riusciamo invece a rinunciare alla nostalgia di avere addosso qualcosa dal tessuto semi-rigido, portato tendenzialmente solo nelle mezze stagioni, volgiamo allora lo sguardo a un capo tradizionalissimo e immutato negli anni, il trench. Trasformandolo, ovviamente, da passe-partout per la pioggia a “copertura” invernale da usare anche in pieno freddo. Così, trapuntato o foderato di pelliccia, da “semplice” impermeabile, diventa pezzo distintivo e personalissimo.
“Lo indossi sopra un abito da sera e sei subito chic”, affermava Diana d’Inghilterra.
E fuori dai dogmi, aggiungiamo noi. Mai stantio, mai banale. Se diluvia, tanto meglio. Ma, per portarlo, non è indispensabile che piova, direbbe Humphrey Bogart -e non solo. L’importante è che sia coerente nel suo “primigenio” stile e nelle sue solide promesse di eterna eleganza.
Rimanendo poi in tema di “sopra”, ci pare corretto focalizzare l’attenzione su un grande ritorno.
Quello del caro, vecchio, nuovo cardigan, testimone di altrettante care, vecchie, nuove figure familiari.
Rimodernato nella forma, non più quella cascante e quasi sciatta che imperava in tempi in cui lo si infilava davanti al camino o per uscire in fretta da casa, oggi si riveste di nuove identità.
Lo si può sostituire alla giacca. Il personaggio da cui mutua il nome, Conte di Cardigan, pare lo indossasse appena tolta la divisa da battaglia, a dimostrazione di un desiderio di comodità e di quiete successivo a momenti di tensione e di ansia -di uno “star sull’attenti”, potremmo dire.
Lo si può usare a guisa di un capo sartoriale, con la medesima attenzione per i dettagli (toppe in daino, tasche applicate, bordure impunturate) e la stessa precisione nelle linee. Katharine, l’altra nostra elegantissima Hepburn, durante i suoi viaggi ne portava sempre con sé una collezione intera, indossandoli sopra quei pantaloni a vita alta dal grande risvolto e accompagnandoli con quelle scarpe stringate dalla punta a coda di rondine che ancor oggi conservano il loro incisivo e determinato carattere.
Lo si può considerare un rassicurante ever-green mattina/sera-sera/mattina. Poco pretenzioso, abbastanza democratico, molto malleabile. Mademoiselle Coco, dopo averlo adottato e femminilizzato, era solita metterlo proprio su tutto. Anche su “niente”!
E, a questo punto, la “conta” di ciò che va, che è più in tendenza, che manca (quando mai?!) nel nostro guardaroba e via via”¦. potrebbe non terminare mai. E dovremmo stilare un elenco pedissequo e cantilenante di mille voci diverse. E riusciremmo -ne siamo certe- a dimenticarne qualcuna.
Allora ci vien da dire che, in questo “mare magnum” di offerte che confondono e quasi paralizzano chi con cautela prova a estrapolare qualcosa che “emerga” concretamente; in questa foresta inestricabile in cui neppure il Principe Filippo, se pur dotato dello “scudo di virtù” e della “spada di verità”, riuscirebbe a trovare la giusta via per raggiungere la sua adorata Principessa Aurora; in questa rapida e caotica carrellata che quotidianamente ci bombarda da ogni parte mentre corriamo frettolosamente cercando di restare “attaccate”al nostro modo di essere e al ruolo a cui siamo chiamate, stando in bilico tra conformismo e creatività”¦ l’unica possibilità rimane quella del gioco, dell’ironia, del divertissement. E se davvero, come diceva Pascal:
“Tutta l’infelicità degli uomini ha una sola provenienza, ossia di non saper restare tranquilli in una stanza””¦, buttiamoci dunque fuori dalla porta per cercare, tra un austero montgomery e un dolce abito in maglia, tra una romantica camicia in pizzo e un frivolo vestitino tutto fiocchi e falpalà, tra un pullover norvegese e una tunica dai disegni grafici, tra una gonna di broccato luccicante e una mini con le frange, tra un pantalone mascolino e una maxigonna danzante, tra una ricercata borsa a mano e una sportiva tracolla da postino, tra un mocassino da “brava ragazza” e uno stiletto da ammaliatrice, tra uno stivale da cavallerizza e una ballerina da “donna senza età”, tra un grigio e un beige, tra un coccio e un ruggine, tra un senape e un fango, tra un azzurro e un ottanio”¦”¦”¦. (occorre tirare un attimo il fiato!!)”¦.. per cercare, dicevamo, proprio quello che va bene per ognuna di noi.
Ecco, non abbiamo resistito. Una lista, bene o male, l’abbiamo fatta. Ma un vero filo conduttore, come ben si nota, non esiste.
Esiste però la nostra possibilità di trovarlo, la nostra curiosità di scoprirlo, la nostra intelligenza di adeguarlo a ciò che siamo e a ciò che vogliamo essere. Certe che la conoscenza, la comprensione delle cose, la capacità nel metterle insieme giocosamente, la docilità nell’accettarle, l’esperienza acquisita e sempre acquisibile, sono doti che, anche se non perfette, alla fine appaiono da sole, senza troppe forzature.
Edith Sitwell, elegante poetessa e saggista nata alla fine dell’ottocento sosteneva:
“Perché non essere se stessi? Il segreto di un aspetto di successo è tutto qui. Se sei un levriero, perché mai devi cercare di assomigliare a un pechinese?””¦”¦.