Mal di Moda
Sì, la moda è avvolta nell’aura del mito, che attrae e ammalia irresistibilmente, ma la moda può essere anche il vaso di Pandora ricettacolo di tutti i mali. Lo sanno bene gli addetti ai lavori, in particolare le modelle che del fashion system rappresentano lo scintillante involucro esterno, l’immagine gloriosa e favolosa di Bellezza&Denaro.
Ai problemi delle modelle come categoria professionale voglio dedicare questo breve articolo, che intende valorizzarne il ruolo e soprattutto tutelarne la dignità, denunciando i rischi ed i pericoli a cui spesso vanno incontro.
Innanzitutto, va detto che come libere professioniste le indossatrici (per lo più adolescenti o comunque molto giovani) non possono contare su una specifica normativa che ne difenda i diritti, né di una struttura ad hoc che le tuteli adeguatamente e le renda consapevoli delle dinamiche del settore. Così, non è raro che esse si affidino a persone tanto ciniche ed ipocrite quanto disoneste e calcolatrici, da cui finiscono per essere sfruttate, talvolta divenendo vittima di abusi sessuali, furti, speculazioni. Oltretutto, la loro remissiva ingenuità ed inconsapevolezza nei confronti degli eventuali azzardi le rende particolarmente fragili, “umiliabili” e “mortificabili”, quindi oggetto di disprezzo e ulteriore mercificazione da parte dei loro presunti “angeli custodi” o datori di lavoro che siano.
A ciò si aggiunga che il mestiere di modella, per quanto a volte riesca a fruttare cachet sostanziosi, è all’insegna della precarietà per antonomasia, altalenante fra momenti di frenesia lavorativa e altri di stasi assoluta, continuamente soggetto a casting dagli esiti imprevedibili da cui può dipendere il futuro della carriera o il suo mesto tramonto. E’ evidente, pertanto, quanto le indossatrici siano suscettibili di sbalzi di umore e possano sviluppare un carattere instabile e ciclotimico, se non hanno di per sé un temperamento forte e refrattario agli shock emotivi. Purtroppo, per colpa dello stress, della perdita di autostima e dei crescenti condizionamenti imposti da un ambiente “tossico”, alcune di loro cadono nel tranello di vari tipi di dipendenza, perdendosi in un circolo vizioso segnato da alcool, sostanze stupefacenti, farmaci, ecc.
E poi non ho ancora accennato al capitolo dei disturbi alimentari, che da solo meriterebbe un tomo accademico! Il rifiuto del cibo è ormai assurto ad emblema di malattia professionale della categoria. Mi ha impressionato una confessione fatta qualche tempo fa dalla splendida top brasiliana Adriana Lima, che rivelava di non ingerire mai cibi solidi nei nove giorni precedenti una sfilata. Sia detto per inciso ma a caratteri cubitali che tra le molte conseguenze della denutrizione per una giovane donna le più gravi sono a carico del cervello, della fertilità, del sistema scheletrico, dell’equilibrio ormonale, del metabolismo in generale… Molti stilisti, malgrado denunce, campagne di sensibilizzazione, polemiche, continuano imperterriti ad imporre taglie “geneticamente” incompatibili con la salute femminile, mostrandosi indifferenti in modo scandaloso al paradigma terribilmente negativo di femminilità che porgono a tutte le ragazze; ma parecchi altri stanno cercando di fare della lotta dell’anoressia un loro cavallo di battaglia (anche se più a parole che nei fatti finora). Negli USA da anni Diane von Furstenberg in veste di Presidente del Council of Fashion Designers of America lancia manifesti per il benessere della donna, vietando le passerelle ai minori di 16 anni ed a persone con stili di vita squilibrati. La prima iniziativa mondiale anti-anoressia è però italiana, attribuibile al Ministro Giovanna Melandri, la quale nel 2006 promosse un documento, sottoscritto dalla Camera Nazionale della Moda Italiana e da Altaroma, che impegnava i professionisti del settore a proporre un modello di bellezza “sano, generoso e mediterraneo” e a “tutelare la salute delle modelle”, bandendo quelle con “evidenza di un disturbo alimentare conclamato”. Parimenti, nel2006 aMadrid i paladini della salute femminili sono riusciti ad ottenere per le ragazze il divieto di un indice di massa corporea inferiore a 18. Nel 2009, poi, il Comune di Milano ha introdotto l’albo professionale delle modelle e dei modelli, prevedendo per ciascuno di essi l’adozione di una tessera di riconoscimento con tanto di impronte digitali. Grazie a questa card attestante l’esistenza di un contratto di lavoro regolare e di un’assicurazione sanitaria, si vorrebbero offrire ai giovani maggiori garanzie fiscali e più sicurezza professionale, contrastando nel contempo la diffusione di disturbi alimentari e l’uso di droghe. Peccato che l’iscrizione a tale albo sia solo facoltativa, cosicché l’operazione appare più di facciata che realmente di sostanza.
Anche le pose “innaturali” assunte dalle modelle (si pensi al collo, solo per citare un esempio) e certi capi d’abbigliamento o accessori possono compromettere la salute delle donne. In primo luogo le calzature con tacchi vertiginosi indossati per ore ed ore. Di per sé sono stupendi, sensuali, femminili all’ennesima potenza, ma gli effetti collaterali del loro uso continuativo sono tremendi, inducendo persino cambiamenti della biomeccanica corporea. A livello posturale complessivo, i tacchi alti spostano il baricentro del corpo in avanti, sottoponendo ad un super-lavoro i muscoli posteriori dei lombi e della schiena, mentre a livello del piede, il tacco alto sposta la massa corporea in gran parte sulla parte posteriore avampodalica con l’effetto dell’insorgenza di metatarsalgie, alluci valghi, dita a martello, ecc. Sotto il profilo neuropatologico, va segnalato soprattutto il rischio di sindrome di Morton, una grave malattia degenerativa di uno o più nervi plantari.
Non si vuole qui criminalizzare il mondo della moda per le vessazioni psico-fisiche sulle modelle: è chiaro che non tutti sfruttano, speculano, frustrano, pervertono, debilitano o “ammorbano” in vario modo le giovani; alcuni però continuano a farlo senza scrupoli e vanno stigmatizzati e denunciati, marginalizzati e radiati da un sistema che deve rifiutare ogni connivenza ed omertà: l’immagine è nulla di fronte all’etica! Se negli ultimi anni sono nate in diverse parti del mondo associazioni e reti di consulenti a supporto dei professionisti del fashion system, vorrà pur dire che in questa black box qualcosa di distorto c’é… Concludo citando appunto due organizzazioni che operano per aiutare le modelle, migliorare le loro condizioni di lavoro, dare dignità al loro essere, ben lungi dal contorno di frivolezza che sovente le accompagna: “The Model Alliance” fondata da Sara Ziff e “Role Model Living” concepita dall’italiana Adriana Giotta, ex-top model internazionale che, forte della sua laurea in psicologia, ha voluto avviare un progetto teso alla salute psico-fisica delle colleghe in difficoltà.