L’insostenibile leggerezza dell’ essere bella
Quale donna non vorrebbe essere bella, anzi bellissima? Esserla, però, può trasformarsi in un handicap, tradursi in solitudine, volgersi in sofferenza. Ne sa qualcosa la free-lance inglese Samantha Brick – segni particolari: bellissima – che nei giorni scorsi ha provocatoriamente denunciato dalle pagine del Daily Mail: “Le donne mi odiano perché sono bella”. Ne è seguito un fuoco di fila di messaggi su vari social network, in primis Twitter, nonché su stampa e tv del Regno Unito e non solo, con commenti che in gran parte esprimevano scarsa solidarietà, specialmente da parte di altre donne, quasi a conferma dell’accusa lanciata dalla giornalista.
Che la bellezza fisica scateni reazioni di invidia e gelosia, addirittura ostilità e timore, non è una novità. Ma perché una condizione di per sé positiva può indurre tanta paura se non avversione vera e propria? Forse perché evoca un quid di mistero, di sacro, di ancestrale, che induce chi la contempla a restare stupito, a sentirsi spaventato, a non capire cotanto prodigio. Ecco che allora si reagisce allontanando ed isolando la persona bella, che paradossalmente proprio perché attrae, finisce suo malgrado per respingere.
Non sono rari i casi di donne splendide, alcune anche molto famose, che raccontano di aver vissuto un’esistenza infelice, solitaria, per il solo fatto di essere belle. La giornalista e scrittrice Paola Pastacaldi, commentando la girandola mediatica suscitata dalla Brick, ha citato il caso di una donna straordinariamente bella che fin da bambina veniva evitata ed emarginata dalla compagne, finché la madre un giorno la portò da un medico per chiedergli le ragioni del disagio della figlia. Al che, l’uomo rispose sorridendo: “Sua figlia sta benissimo ed è normale, ma l’ha guardata bene sua figlia, non ha visto quanto è bella?”.
C’è chi usa la propria bellezza come uno strumento di seduzione, una scorciatoia per raggiungere fini non sempre commendevoli, un mezzo per gratificare la propria vanità e assecondare la propria superbia, nonché per umiliare e colpire gli altri. Molte donne, a volte deliberatamente, a volte coercitivamente, si prestano col proprio corpo a compiacere alla brama di possesso di certi uomini, per i quali la figura femminile è mero terreno di conquista, con cui gratificare la propria autostima machista, dar sfoggio a potere e ricchezza, assecondare un ego predatorio, un’ansia di prestazione, un complesso di superiorità, tutti caratteri tipici di uomini che invece sono insicuri e talvolta frustrati. Ma c’è anche la donna che sa trasformare la propria prestanza fisica in un’arma benigna, ossia per recare armonia, gioia, pace nello sguardo e nel cuore di chi guarda. Questo vuol dire fare dell’estetica il riflesso dell’etica: uno specchio metaforicamente opposto al ritratto di Dorian Gray, in cui alla bellezza corrisponde effettivamente la bontà. Del resto, gli antichi Elleni per designare l’uomo perfetto avevano coniato l’endiadi “kalòs kai agathòs”, in cui bello è sinonimo di buono, a sottolineare che ciò che è piacevole all’occhio è solo ciò che ha valore morale e spirituale. Come sosteneva Goethe, di fronte alle doti superiori di una persona non resta che l’amore. Altro che invidia!
A proposito di giornaliste, in conclusione, vogliamo ricordare la presenza del Ministro del Lavoro Elsa Fornero il 5 Aprile scorso presso la sede della Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi) a Roma, dove ha stigmatizzato gli “stereotipi orrendi” e la “mentalità ammiccante” che regnano ancora in Italia, per cui quando si assume una donna “si pensa che sia stata scelta per altri motivi che non siano il merito”. Ne consegue che, ogni volta che si promuove una donna “c’è qualcuno che dice che è un po’ immorale”. La Forneroè intervenuta in quest’occasione per la firma, con il Segretario Generale della Fnsi Franco Siddi, della “Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro”, le cui linee direttrici sono “parità, promozione del merito e abbattimento degli stereotipi”. “Voi donne giornaliste – ha dichiarato il Ministro – avete la responsabilità di evitare che si offra anche all’estero un’immagine distorta della donna sui media. Il giornalismo ha rappresentato lo specchio di una società italiana rissosa, ma le giornaliste con la loro sensibilità e freschezza possono contribuire a modificare una concezione che vede la donna oggetto di stereotipi orrendi e puntare invece alla promozione del merito”.