Divagazioni agostane
Si sta avvicinando il cuore dell’estate, tappa sicura di momenti da trascorrere all’insegna del “vacuum”, ovunque ci si trovi.
La tranquillità della campagna, la fresca temperatura dei laghi alpini, l’asfalto delle città d’arte –percorse eroicamente in lungo e in largo- che fa da contraltare a cieli vagamente lattiginosi, la pacata e stupita riscoperta dei luoghi dove si abita -visti con sguardo però diverso.
E poi, naturalmente, il mare, con il suo richiamo antico e mai passato.
“Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito”, diceva Saint-Exupéry.
Così è, da che mondo è mondo.
E qui fermiamo un attimo l’attenzione; per parlare di un capo d’abbigliamento tipico, nonché indispensabile, per questo tipo di vacanza. L’eleganza, nonostante lo scempio estetico che ognuno di noi ha sotto il naso, può transitare anche da queste parti……
Se dunque il vecchio costume da bagno è un po’ “giù di corda”, proviamo a ritrovare gusto nel vestire la nostra figura con un occhio di riguardo alla forma –che dovrà mostrarsi senza troppo esibirsi.
Diciamo dunque subito che, a parer nostro, l’unico veramente adatto a “fare discretamente sfoggio di sé”, senza nulla togliere al corpo che esso ricopre, è quello intero. Soprattutto quando i vent’anni sono ormai dietro le spalle. Le autentiche “ladies” sanno bene come funziona. La sua “leaderchic” è incontrovertibile. Con il bikini, anche ove i numeri sembrino contraddire ciò, non c’è partita.
La bellezza delle linee, dei tagli, dei trafori, delle applicazioni trova in esso la sua maggiore espressione. Un pareo in vita o una camicia a uomo aperta – per sentirsi a proprio agio anche lontane dall’acqua – e lo stile “da bagni” diventa una filosofia di vita che va al di là di ogni situazione contingente.
Spiace dire che, secondo una recente inchiesta di mercato, la ricerca e la scelta del costume da bagno è fonte di stress soprattutto nelle donne più giovani; pare che quasi il 70% delle ragazze nella fascia di età che va dai 18 ai 24 anni ritenga la prova davanti allo specchio di tale indumento motivo di grande insoddisfazione. “Un’insoddisfazione che si origina molto spesso a causa di un problema di autostima…. Quando le più giovani si provano il costume in camerino, si sentono spesso a disagio, soprattutto se indossano un bikini…….. Se non cade alla perfezione, sorge in loro spontaneo trovarsi mille difetti ……. Per le più giovani è come se il corpo naturale non bastasse più …… “.
L’utopia di un corpo immaginario o visto solamente sulla carta stampata dove, lo sappiamo benissimo, i “ritocchi” sono di gran lunga superiori alla realtà.
Ma questo è. Ed è questo che si dovrebbe contrastare.
Come non spostare dunque il nostro interesse verso un focus che, anche da parte di addetti ai lavori “navigati”, sta diventando una vera urgenza? Quella di ridimensionare gli eccessi, o le chimere irraggiungibili per la maggior parte di noi.
La bellezza (non è qui il caso di fare dissertazioni su un argomento così denso e così discusso) non si incarna nella perfezione.
Bellezza è anche seguire dolcemente le curve senza temerle. Assecondandole. Incoraggiandone la dolce morbidezza, curandone le proporzioni, esaltandone la solarità.
Il fascino sta nella leggerezza che va al di là del peso. Che parte dalla testa e non dalla “carne al vento”.
E proprio “Curvy” è un recente modo di definire la moda che si occupa di chi non è propriamente una larva. Curvy è un filone che sta sempre più conquistando adepti. Curvy è il titolo di un libro che ha come sottotitolo “il lato glamour delle rotondità”. In esso leggiamo che:
…….. Sophia Loren, Anna Magnani, Silvana Mangano, Claudia Cardinale, ……. i loro corpi a clessidra consegnati al mito dei grandi capolavori del neorealismo sono ancora oggi l’unità di misura della bellezza mediterranea, magnifica ossessione per uomini donne e stilisti ……..” .
Partire da iniziative come queste, sottolineare l’oggettività di tali modelli come veicolo “sano” da diffondere è già buona cosa; togliere costrizioni al corpo per togliere costrizioni mentali radicate in modo nocivo da un po’ di tempo in qua, è cosa lodevole.
Meravigliosa la suggestiva idea di esporre oggetti facenti parte della collezione del “Compasso d’oro” (importante premio internazionale per il design nato nel 1954 e gestito oggi dall’Associazione per il Design Industriale -le opere che ne costituiscono l’essenza sono state dichiarate dal Ministero per i beni culturali “Patrimonio nazionale di interesse storico ed artistico”-) in uno dei negozi milanesi del noto marchio Elena Mirò durante l’ultima edizione del Salone del mobile, pochi mesi fa. Tre oggetti “tondi”, naturalmente, a richiamare la naturalezza delle sagome sinuose e rotondeggianti insita nella scelta di stile dell’azienda.
La lampada “Atollo”, progettata da Vico Magistretti, prodotta nel ’77 e premiata nel ’79, con quella sua semisfera avvolgente e protettiva –proporzioni perfette ed equilibrate.
La parete divisoria “Cartoons”, disegnata da Luigi Baroli nel ’92 e premiata nel ’94, così ondulatoria e duttile. “Forma volgarmente esibita”: questa la definizione di Baroli a chi gli ha chiesto cosa “non” sia il design.
La poltrona a dondolo MT3 di Ron Arad, così sorprendente e affascinante nel suo essere “cocoon” da meritare il premio nel 2008. Morbide superfici, per morbidi contatti.
Sì. Occorre guardare a tali testimonianze, a tali esempi. Altrimenti questa sindrome da “bruttezza immaginaria” ammala. E quegli odiosi pensieri non scevri da dubbi (a volte infondati) che si insinuano davanti a una bellezza troppo “composta” -una bellezza che crea sospetto anziché ammirazione- ammorbano.
Quanto caos! Quanto frastuono! Quanta dispersione incongruente!
Così lontani da quel “…ho conosciuto il mare meditando su una goccia di rugiada………”.
E nel dilagare di accorgimenti al limite dell’ossessione, nella marea di nevrosi legate all’impossibilità di raggiungere obiettivi sciaguratamente provocatori, nella montagna di stimoli fuorvianti e insalubri, risulta essere vincente chi comunque mette in atto l’accettazione di sé.
È sicuramente solo quest’ultima che divide coloro che colano a picco da coloro che salgono verso l’alto.
Non riesco a restare neutrale.
Inevitabilmente il pensiero diventa moviola a ritroso.
Inevitabilmente rivedo la mia adolescenza e nello scorrere di questa, quasi in un soffio di piuma d’angora morbida come pelle di gatto, vedo mia figlia con le sue normalissime turbe adolescenziali.
Pensieri e immagini evocate in flash dinamici, che ancora mi àncorano alla inevitabile, ricerca di soluzioni semplici capaci di oltrepassare l’ostacolo del luogo comune, della nefandezza del pensiero inutile.
Inutile farsi complici ragionevoli dicendo: – No, cara, ti sta bene è bello, morbido, non segna!, perché la risposta è scontata: -No, mamma, fa “cagare”!
Ebbene, cara Simona, sono d’accordo quando dici che occorrerebbe sdrammatizzare certi canoni deleteri , appunto il mito della magrezza esasperata, come unico esempio di bellezza femminile.
Di questo è colpevole anche la moda con i suoi bombardamenti mediatici e quel “puor parler” tipico carico di definizioni obsolete.
Ad esempio toglierei : – taglie comode per signora, over-size, extra large, taglie forti e via discorrendo – che a parer mio, oltre ad essere sgrammaticate, non appagano l’occhio e l’orecchio.
Col mio 48 regolare non mi sento né over, né large,; comoda lo sono se lo voglio e forte, indubbiamente di spirito e di passione, questo mi basta.
Scelgo abiti che valorizzino i punti buoni e semi-nascondono le parti imperfette, mi piace il colore se ben abbinato e adoro le novità e i tagli particolari escludendo il vecchiume, con un occhio al borsellino.
Bene, visto che siamo in sintonia: “On ne voit bien qu’avec le coeur l’essentiel et invisible pour les yeux”, l’essenziale è visibile a chi è capace di vedere al di là delle apparenze, sempre e instancabilmente con spirito libero.