Quando gli orli erano capolavori
Novant’anni fa nasceva a Roma Simonetta Colonna di Cesarò, “la prima donna della moda italiana” (così si intitolò la mostra a lei dedicata nel 2008 aFirenze alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti). Non molti, forse, oggi ricordano chi sia e cosa abbia rappresentato questa colta e aristocratica signora (nata dal Duca Giovanni Colonna Romano di Cesarò, ministro del primo governo Mussolini da cui poi prese le distanze cadendo per questo in odore di sospetto, e dalla raffinata contessa Barbara Antonelli, di origini russe).
Attiva nella Resistenza assieme al fidanzato (in seguito diventato marito) Galeazzo Visconti e alla sorella Mita, nell’immediato dopoguerra debuttò come stilista aprendo un atelier di haute couture presso lo storico palazzo di famiglia in Via Gregoriana, configurandosi pure come la prima donna in carriera della moda italiana.
Il suo fu uno stile sempre animato da un’insaziabile ricerca di perfezione e bellezza, per raggiungere i quali non esitò ad affrontare le più disparate sfide del destino.
La sua collezione d’esordio, presentata nella primavera del 1946, consisteva in 14 abiti, caratterizzati da uno stile sartoriale di particolare impatto, il cui successo fu tale che solo tre anni dopo Bergdorf Goodman e Marshall Field, i celebri department store americani, vollero proporre alla loro clientela più esigente le originali creazioni di Simonetta, così diverse dai modelli francesi e così singolari da rasentare il dandy. Consacrata da “Vogue America” come la figura più rappresentativa dell’alta moda italiana, la “glamorous countess” – così la ribattezzarono in USA – fu invitata nel 1951 da Giovanni Battista Giorgini alla famosa sfilata fiorentina nella Sala Bianca di Palazzo Pitti destinata ad affermare il made in Italy sulla scena della couture mondiale. Ormai eletta internazionalmente ad icona fashion del Belpaese, Simonetta vestì le donne più affascinanti e potenti dell’alta società, da Wally Simpson a Lauren Bacall, da Audrey Hepburn alla Marchesa Spinola, da Claire Booth Luce a Leonor Fini (per quest’ultima inventò appositamente uno stivale-pantalone nero).
Con il secondo marito, il sarto Alberto Fabiani, la Cesarò dal ’53 in poi diede vita ad un sodalizio artistico ed affettivo che le consentì di definire e connotare meglio il suo stile. Lei, che amava indossare una cappa maculata divenuta un vero “marchio di fabbrica”, si confermò “regina” dell’alto artigianato di moda, dal cui atelier uscivano sofisticati abiti da sera e da cocktail, poi imitati in tutto il mondo da milioni di donne. In una delle sue ultime interviste Simonetta dei suoi vestiti ha dichiarato: “Erano belli anche sotto, gli orli erano dei veri capolavori, uno sbieco di seta pura”. Ma non disdegnava di creare anche capi ready-to-wear, intuendo prima di tutti le potenzialità dell’abbigliamento sportivo e casual per il tempo libero da spendere sulla neve o in spiaggia. Fu così la volta dei capi in maglia, che immediatamente guadagnarono ampi consensi centrando il target oltre le aspettative.
Dopo la separazione da Fabiani, Simonetta decise di imporsi da sola sulla scena di Parigi proponendo la formula Haute Boutique, a cavallo tra couture e prêt-a-porter, anticipando quella che sarà poi definita la “democratizzazione della moda”. Ma i tempi stavano mutando e anche Simonetta nel suo animo andava maturando pensieri ed aspirazioni distanti dal mondo delle passerelle. A fine anni ’60, in effetti, aveva conosciuto il guru Swami Chidananda, per cui nel 1972 si ritirò a vita privata, trasferendosi in India desiderosa di intraprendere un proprio percorso spirituale improntato ai principi del Buddismo.
Simonetta Colonna di Cesarò, che scrisse anche alcuni libri (tra cui “A Snob in the Kitchen” e l’autobiografia “Una vita al limite”), attualmente vive tra Roma e Parigi. Musa ispiratrice di tanto design contemporaneo, la “glamorous countess” a 40 anni esatti da suo abbandono della moda meriterebbe una degna iniziativa ad hoc che ne ripercorra il cammino umano-artistico-artigianale rendendo giusto onore alla sua classe ed al suo ardore pioneristico.