Cappelli in testa
Nel senso che mi sono proprio rimasti … in testa. E negli occhi. Forse alcuni anche nel cuore.
Sì, in questo scorcio di fine settembre, mese che racchiude due stagioni molto differenti l’una dall’altra, con lo splendore delle giornate estive che lascia il posto alla pacatezza di quelle autunnali, mi viene da fare un piccolo bilancio su ciò che nel tempo appena trascorso ha lasciato davvero un segno.
Sarà che mi ha influenzato la lettura di quel libro incredibile di Oliver Sacks intitolato “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, ma devo dire che il ritorno alla ribalta di questo accessorio mi ha particolarmente colpito.
Ne ho visti di meravigliosi alla mostra “L’ultima frivolezza, di cappello in cappello” tenutasi ai Musei Mazzucchelli di Ciliverghe di Mazzano. Hanno dato sfoggio di sé in una cornice decisamente accattivante. Molti, moltissimi tra gli oltre seicento cappelli provenienti dai depositi del Museo della Moda e del Costume si sono offerti allo sguardo dei visitatori esibendo le fogge più strane e le fatture più sofisticate. Dagli anni ’20 agli anni ’80 il periodo di produzione, sia italiana che internazionale.
Piccoli sogni, veri protagonisti della scena, non solo completamento a …
Piccoli decori atti a valorizzare un volto, a enfatizzare un profilo. Per coprire. Per svelare.
Peraltro esposti in mezzo a stampe d’epoca come se anch’essi fossero quadri. Singolarmente, in coppia, a tre a tre e anche più. Racchiusi in cornici ovali o quadrangolari, appoggiati su trespoli antichi o sopra sedie imbottite e, meraviglia delle meraviglie, assemblati insieme a formare archi o ghirlande sotto cui passare. Naso in su, dunque, per scoprirne i segreti, individuarne i materiali, indovinarne il marchio di fabbrica. Ecco una toque da sera o da cerimonia firmata Jeanne Lanvin, una veletta misteriosa ma aggraziata – ornata da piume di struzzo – siglata Jean Patou, un basco rigoroso uscito dalle mani dei maestri Gaffuri o dalla genialità di rinomate modisterie milanesi. E poi ancora una pagoda a tesa larga di Christian Dior, una paglietta con nastro rigido di Pierre Balmain, una minuscola coroncina fiorita tolta da un cassetto anonimo.
Copricapi coraggiosi degni di altrettante coraggiose signore pronte a gareggiare, in tempi che furono – ma non solo -, a suon di occhiate furtive tra una trina e una visiera, tra un fiore e un falpalà. A dimostrare che, pur difficile da interpretare, l’eleganza può incominciare anche dalla testa.
Come non ricordare “Donna con cappello” di Matisse – del 1905 -, dall’energia suadente e interrogativa? O gli occhi a fessura ombreggiati da una tesa in contrasto coi capelli di quel ritratto di ragazza di Modigliani del 1917? Quelle facce senza tempo, senza età. Rese immortali da uno stile trasversale, reso tale da una serena e ironica disinvoltura nel porsi.
Volto pagina per passare a parlare di un contemporaneo con “un sacco di idee per la testa”!! Mi ha toccato e catturato infatti recentemente la vena creativa ed eclettica di Francesco Ballestrazzi, stilista sognatore, ma con i piedi ben piantati per terra. Nella terra, direi. La sua collezione di cappelli all’ultima edizione di White, a Milano, è infatti quasi totalmente ispirata dalla natura, oltre che ad essere suggerita dal suo amore per il cinema, l’arte e la letteratura.
“Animali, piante e fiori danno forma e colore a questi preziosi accessori realizzati interamente a mano, rendendoli in questo modo unici ed irripetibili nei loro dettagli”.
Elmi antichi ad evocare forme bombate, piume di cacatua per rendere leggiadro un semplice cerchietto o una insipida molletta. Emozioni che si fanno palpabili, prendendo la forma di un panama trasformato in “giardinetto” o di un cilindro reso simile a un vaso sghembo. Qualcosa fuori dall’ordinario per donne certamente straordinarie.
Quest’ultimo “assortimento” prende il nome di Amazzone, “alludendo a un romanzo del francese Maxence Fermine che testimonia un viaggio nella foresta amazzonica”. I verde erba, i rosso fuoco, i giallo sole, i blu cielo. Ogni colore rimanda a un pezzo di vita, ogni “costruzione” a un pezzo di storia. Ognuna delle sue creature rappresenta una nicchia a sé stante, una chicca non replicabile. Il desiderio di possederne almeno una è pari al fascino emanato dalla passione sottesa di chi l’ha ideata.
E ora vado ancora oltre per testimoniare “prove sul campo”. Inaspettate, giunte come una brezza improvvisa. Mi sto riferendo alla bellezza di un evento imprevisto, gradito come una sorpresa, gustato con piena gioia. Diceva Ezra Pound …
“Parlo della bellezza. Non ci si mette a discutere su un vento d’aprile. Quando lo si incontra ci si sente rianimati. Ci si sente rianimati quando si incontra in Platone un pensiero che corre veloce, o un bel profilo di una statua.”
Mi sono imbattuta anch’io, lo scorso agosto, in sensazioni analoghe. La cattedrale di Siviglia, la terza più grande del mondo, a fare da sfondo. La Cappella Reale, con la sua maestosità, per l’esattezza. Fermento, ad un certo punto, movimenti convulsi tra i turisti, flash scattati da professionisti. Una sposa, là dentro, una candida sposa con i tradizionali fiori d’arancio, simbolo di fertilità, fra i capelli. E un seguito inusuale.
Una miriade di giovani e non più giovani donne elegantissime, raggianti, luminose. Sicuramente amiche, familiari, compagne di tratti di strada comuni. Ognuna con il proprio festoso pezzo d’arte in testa, ognuna diversa dall’altra, ognuna opportunamente agghindata.
Nulla da invidiare alle ladies inglesi, depositarie, nell’immaginario collettivo, di questa consuetudine nota e a volte criticata in tutto il mondo. Ecco dunque “sfilare” davanti al corteo nuziale nuvole rosa, sculture aeree, tamburelli austeri, paglie leggerissime. Il tutto abbinato al colore degli abiti, spesso anche delle scarpe. Un’allure mediterranea mutuata da chi vive oltremanica, ma con una grinta in più, con un “duende” in più.
Dietro la coppia, la madre – di lei o di lui, chissà! – con una preziosa “mantilla”, a reiterare una tradizione portata avanti nel tempo con amore e rispetto del proprio modo di essere e del proprio mondo di appartenenza. Al suo braccio, un padre orgoglioso e felice.
Curiosità enorme tra la folla che, ai piedi della torre Giralda, osservava con ammirazione tanta e tale armonia. Nessuna era a capo scoperto. Anche solo un nastrino, o un fiore fresco.
Non nascondo che mi sono commossa nel vedere come, a volte, il desiderio di far parte di un tutto, coralmente, anche a partire da un segno apparentemente frivolo come indossare una penna di fagiano puntata con un filo o una corolla di garza lavorata come una rete, possa dare vita e significato a ciò che io chiamo attitudine alla condivisione.
Anna Piaggi – come non nominarla, come non ricordarla? – avrebbe approvato, avrebbe sorriso, davanti a tutto questo. E avrebbe sicuramente chiesto a qualcuna di venderle un cappello da aggiungere alla sua stravagante e inconfondibile collezione.
“Chapeau”, allora, a chi sfida ogni remora per ingentilire “a testa alta” la propria personalità. E a chi, una tantum, si concede di diventare simile a una farfalla o a un uccello del paradiso.
Non occorre andare indietro di molto.
Basta fare un piccolo sforzo di memoria e immortalare nello sguardo le nostre mamme.
Vale a dire (per chi ha più o meno cinquant’anni) gli anni sessanta.
Ricordo i guanti, il cappotto classico, la borsetta in pelle con le scarpe coordinate, il foulard in testa o il capellino per le occasioni eleganti.
Sempre, non si usciva di casa se non si era a posto.
Sempre, indipendentemente dalle mode e dai periodi storici, dal ’68 agli anni di piombo; sempre, ancora adesso che hanno ottant’anni.
Perché?
Perché era nella loro cultura.
La cultura del bello che non significa necessariamente snob o ricercato, ricco o frivolo.
Significa estetico, ordinato, piacevole per te e per gli altri.
Significa che avevano inculcato il rispetto non solo per la propria immagine, ma per quella che avrebbero proiettato davanti a loro.
Significa che lasciavano scie al loro passaggio e non di profumo, ma di classe.
Ma che cosa serve, direte Voi, la classe al giorno d’oggi?
“La Bellezza è l’unica cosa contro cui la forza del tempo sia vana. Le filosofie si disgregano come la sabbia, le credenze si succedono l’una all’altra, ma ciò che è bello è una gioia per tutte le stagioni, e un possesso per tutta l’eternità.” (Oscar Wilde)
Carissima Enrica pubblichiamo il tuo bellissimo commento. Come vorremmo pubblicare un tuo articolo…..!!!!!!
Carissima Marinella,
troppo buona. Certo i complimenti fanno piacere e la proposta che mi fai e che non merito, mi lusinga.
In questo periodo però non me la sento di prendere un impegno a scadenza. Potrei, se avete un argomento che Vi piace, una-tantum. Questo fino a Natale, poi “a braccia aperte”!
Scusa e grazie
enrica
Mi sento anche io lusingata. Farei l’inverso. Se hai un argomento di cui ti va di scrivere….Purchè sia Moda, ma immagino che questo sia chiaro.
Marinella