Una “Cosa” per esplorare il mondo
Che cos’è un abito? Una cosa, un oggetto, una merce? Attenzione, non si tratta di termini sinonimi e la questione non è banale. A differenza degli oggetti, che si manipolano in modo impersonale, e delle merci, che hanno una mera accezione commerciale, le cose rappresentano i fili virtuali che uniscono persone e gruppi, storie individuali e collettive. In questo senso gli abiti sono cose, non sono altro da noi, ma ne possono diventare parte integrante. In quanto tali – se ci mettiamo dal loro punto di vista – ci consentono di andare oltre una sterile interiorità e di esplorare il senso del mondo. Alle cose, tra cui quelle di moda, è stato dedicato niente meno che il FestivalFilosofia 2012, svoltosi di recente nelle città di Modena, Carpi, Sassuolo, che ha visto la presenza di illustri relatori, tra cui la sociologa della comunicazione Elena Esposito e il Segretario Generale di AltaGamma Armando Branchini, le cui “lezioni magistrali” hanno avuto come temi rispettivamente la transitorietà della moda e l’alto valore simbolico dei beni di lusso.
Giunta alla sua dodicesima edizione, la prestigiosa manifestazione emiliana – che ha proposto circa 200 tra convegni, prolusioni accademiche, mostre, concerti, spettacoli, cene filosofiche – ha visto autorevoli esperti discutere della natura delle cose, dei “feticci” di cui le persone amano circondarsi, di arte e artefatti, della loro produzione e del loro consumo.
Molto interessante è stato l’intervento del filosofo Remo Bodei che ha posto l’accento sull’etimologia di cosa, derivante dal latino “causa”, che significa “quanto ci sta a cuore”. La cosa è dunque ciò di cui ci appassioniamo, per cui siamo disposti a combattere, in cui ci identifichiamo, che siamo disposti a difendere e conservare. In fondo, non è tutto questo un abito di moda? Non è quella cosa che investiamo – magari inconsapevolmente – di simboli, affetti, idee? E quanto più ne comprendiamo i valori, tanto più ci sentiamo (anzi, siamo) capaci di capire il mondo, proprio perché i suoi significati storici, teorici, emotivi ci permettono di interpretare i cambiamenti, di allargare i nostri orizzonti di mente e cuore, di approfondire la conoscenza di quanto ci attornia. L’ha spiegato in termini efficaci il professor Bodei: “Le cose rappresentano nodi di relazioni con la vita degli altri, anelli di continuità fra le generazioni, ponti che collegano storie individuali e collettive, raccordi tra civiltà umane e natura, dalle cui risorse tutto ha origine. Ci spingono a dare ascolto alla realtà, a farla entrare in noi aprendo le finestre dell’anima, così da ossigenare un’interiorità altrimenti asfittica”.
Trasponendo le parole di Bodei al mondo della moda, potremmo concludere che recuperare il significato di un abito, ovvero riscattarlo dal suo uso meramente strumentale, vuol dire diventare più consapevoli di se stessi e della realtà in cui siamo inseriti, dal momento che le cose “raccontano”, stabiliscono legami tra le storie particolari e universali, “sinapsi di senso” tra l’uno e il tutto.
Ma razionalizzare gli eventi ha conseguenze di più vasta portata. Sempre per restare nel settore della moda e del suo indotto, basti pensare al caso della macchina da cucire, indispensabile ad ogni maison che si rispetti: i primi esemplari, prodotti industrialmente da Isaac Merritt Singer a New York nel 1854, funzionanti a pedale, sono una dimostrazione di come una cosa che incorpora l’intelligenza e l’esperienza di milioni di donne possa contribuire all’emancipazione delle stesse, concedendo loro più tempo libero, minor fatica, migliori performance.
Avvincente è stato anche l’intervento di carattere antropologico del filosofo Krzysztof Pomian, esperto di storia culturale europea, secondo il quale i mutamenti avvenuti nella psicologia umana nel corso degli ultimi cinquantamila anni sono dovuti anche all’evoluzione degli artefatti, tra cui gli abiti e gli accessori, carichi di valenze simboliche. Da quando gli uomini hanno cominciato a produrre cose e ad inventare quelli che il professor Pomian chiama “semiofori”, ovvero “portatori di segni”, gli stati interiori degli individui sono stati esteriorizzati non più soltanto per mezzo degli enunciati linguistici, bensì lasciando tracce, segni, cambiando stabilmente la forma degli oggetti materiali. Gli emblemi, comparsi tra il periodo in cui si sono fabbricate le prime immagini e quello in cui si è inventata la scrittura, rivelano lo statuto straordinario di una persona, la sua vicinanza al regno dell’invisibile o addirittura la sua qualità di esponente dell’invisibile presso gli umani. Tra questi emblemi possiamo includere le “cose di moda”. Si tratta di tessuti di eccezionale raffinatezza o dai colori affascinanti; di gioielli fatti con metalli lucenti, pietre brillanti dai colori accesi, oggetti che fino ad un’epoca relativamente recente rivelavano come gli uomini interpretassero il mondo secondo una gerarchia verticale. In sostanza, ha concluso Pomian, “noi, individui appartenenti al genere umano, siamo i prodotti degli artefatti che abbiamo prodotto e non ci sarebbe possibile comprendere noi stessi senza partire da questo dato di fatto”.
Sembrano temi ostici, ma in realtà possono farci comprendere molto di noi e del mondo in cui viviamo, se solo ci sforziamo di rifletterci meglio. Gioverà anche alla moda stessa!