Nudo: la prova della verità e della bellezza
Sfogliando alcune splendide strenne d’arte di epoca antica e moderna, mi sono imbattuta in molti nudi femminili. Masaccio, Botticelli, Cranach, Tiziano, Rembrandt, Manet, Rubens e con loro tanti altri hanno mirabilmente interpretato il “vero” della nudità muliebre, valorizzandone tutte le straordinarie potenzialità espressive. Ammirando le loro opere, non ho potuto non soffermarmi a chiedermi perché questi corpi al naturale appaiano così belli, così innocenti e pudichi e “puri”, benché sessuati e sensualissimi e peccatori e spesso imperfetti nelle loro forme espanse, mentre certe immagini attuali di donne, anche se di superba bellezza, sembrino così volgari, oltraggiose, vergognose. E’ come se, osservando la pensosa Betsabea di Rembrandt, la misteriosa Olympia di Manet, la pingue Venere allo specchio di Rubens ecc. non mi accorgessi che sono nude, mentre mi appaiono impudicamente svestite certe contemporanee beltà, dissezionate al limite dell’endoscopia, radiografate voyeuristicamente in un’interiorità che però non riesce ad imprimersi sulla lastra. Tutt’altro che moralista, confesso che mi scandalizzo e d’istinto mi viene da coprire certe inverecondie; forse non a caso, poi, mi sovviene la celebre frase biblica a proposito di Adamo ed Eva dopo il peccato originale: “In quel momento si aprirono i loro occhi, si accorsero di essere nudi e subito intrecciarono foglie di fico per coprirsi”.
I nudi d’oggi sono oggetti, non soggetti; ci aggrediscono l’occhio e l’anima con la loro laida supponenza, il loro eccesso carnale, la loro impeccabile eccellenza forgiata da bisturi amorali, la loro oscenità intesa come “essere fuori della scena” del teatro civile, che in quanto tale non svolge alcuna funzione catartica. Tutta questa presunta bellezza è frutto non d’arte, ma di artificio a scopo di lucro, di mercimonio, non di rado di prostituzione (vogliamo chiamare le cose col loro nome?), nonché di perversione mentale.
Invece quei nudi di Masolino, Goya, Modigliani ecc. sono veri, naturali, misurati, spesso privi di compiacimento sensuale, sereni nella loro materialità e perciò belli, sebbene anatomicamente emendabili nella prorompenza delle forme e quantunque talvolta pervasi di erotismo, altre volte edonisti e voluttuosi. A sublimarli è il fatto che sono specchio realistico e sincero degli ideali estetici di uomini che volevano soprattutto farne oggetto di riflessioni intellettuali e considerazioni filosofiche, a prescindere dal mero suscitare desiderio sessuale. Se la perfezione idealizzata viene sacrificata è per geniale consapevolezza del valore della veritiera rappresentazione del mondo e delle sue creature, che paiono accettare sovente con malinconica rassegnazione l’imprescindibile imperio del sesso.
Ad esempio l’Olympia di Manet è un inno alla gloria del corpo della donna, all’archetipo femminile come sogno irraggiungibile, come fascinazione divina: esiste di per sé nella sua tranquilla magnificenza, non sembra attendere alcun uomo, si offre soltanto ai nostri sensi incantati senza svelarci il suo enigma.
Anche per Tiziano il nudo muliebre è simbolo di lusso, evocativo di delizie paradisiache: ne è testimonianza la straordinaria Venere di Urbino, che distesa sul letto si mostra nella sua disarmante verità, nella sua floridezza giovanile che promette felicità alludendo alla raffinatezza, alla sontuosità, al piacere estetico prima ancora che materiale delle corti del Rinascimento italiano. Questa splendida donna-dea ci guarda serena, senza ammiccamenti erotici, tenendo in mano romanticamente un mazzolino di fiori, mentre sul fondo della stanza le sue ancelle le preparano gli abiti da indossare cercandoli in una cassapanca. Il soggetto più malizioso di tutto il dipinto è però il cagnolino acciambellato tra le coltri che finge di dormicchiare, ma in realtà controlla la scena e si bea della favolosa avvenenza della sua padrona. E lei, ambigua e invitante, eppur pudica nella sua grazia classica, resta l’italiana più bella di tutti i tempi, la più desiderabile, la più irraggiungibile, perché dischiude la vera essenza della bellezza assoluta.