Le uova del mito sbarcano in borsa
Dalla Russia zarista di metà Ottocento alla Rivoluzione bolscevica del 1917, dalle beghe legali novecentesche all’odierno capitalismo di Borsa, passando come una meteora persino nel settore del personal care. Queste, in sintesi, le vicissitudini di Fabergé, uno dei più antichi e prestigiosi marchi di alta gioielleria. Ora la maison è quotata allo Stock Exchange di Londra, dopo che a fine 2012 Gemfields Plc (gruppo Pallinghurst), attiva nel business estrattivo di pietre preziose, ne ha assunto il controllo azionario pressoché totale (corrispondendo 142 milioni di dollari, pagati con azioni proprie di nuova emissione).
L’obiettivo dichiarato è quello di attrarre investitori interessati ai beni d’alta gamma, nella consapevolezza che “a parità di ricavi e di profitti la valutazione in Borsa di un’azienda del lusso è molto maggiore rispetto a quella di una del settore minerario”, come spiegato da Sean T. Gilbertson, Executive Director di Gemfields, società che l’anno scorso ha conseguito performance reddituali straordinari, vedendo crescere i propri ricavi del 108% fino a quota 83,7 milioni di dollari. In realtà, l’interesse di Gemfields nei confronti del gioielliere degli Zar è dettato anche da ambizioni di leadership che fanno da volano a ben ponderate strategie. Ricordiamo, infatti, che Gemfields (con sedi in Francia, Svizzera, Regno Unito e alcuni laboratori in Italia), in quanto proprietario della miniera di Kagem in Zambia è il più grande produttore mondiale di smeraldi, vantando una quota di circa il 20% delle pietre verdi totali. Inoltre estrae il 40% delle ametiste esistenti al mondo ed ha recentemente avviato una ricca miniera di rubini in Mozambico. Nessun mistero, dunque, che Gemfields punti a diventare leader planetario del settore delle gemme di colore, con l’intenzione di lanciare una sfida competitiva al business dei diamanti.
Il medesimo Gilbertson ha affermato: “L’acquisizione di Fabergè è una grande opportunità per creare un gruppo capace di muoversi in questa direzione. Con Fabergè, Gemfields controllerà un marchio con un nome meraviglioso e un grande potere, che ci consentirà di posizionare le nostre pietre in cima alla piramide del lusso e farle competere ad armi pari con i diamanti. Se chiedessi a qualcuno di indicare due o tre brand di gioielleria da cui acquistare dei diamanti di qualità, sono certo che saprebbe citarli subito. Ma se dicessi di fare lo stesso per degli orecchini con smeraldi o un anello con zaffiri o un ciondolo con rubini, per quella persona sarebbe più difficile fare una scelta. Non c’è un unico player percepito automaticamente come leader nelle gemme di colore. Noi aspiriamo a colmare questo gap”.
E’ dunque chiaro che Gemfields mira a fare di Fabergé la propria “punta di diamante” grazie al fortissimo vantaggio competitivo assicurato dal controllo della filiera produttiva e commerciale delle gemme. Ciò consentirà di far giungere le pietre direttamente dal produttore al cliente finale, con evidenti benefici di prezzo. Inoltre, in un contesto in cui i valori dell’etica, della responsabilità sociale e della trasparenza sono sempre più importanti per i consumatori, Gemfields ha fatto deciso affidamento sui fattori dell’approvvigionamento etico e della CSR (Corporate Social Responsibility), ottenendo il riconoscimento legale di “primo fornitore mondiale di gemme di colore eticamente estratte”. Per quanto riguarda gli aspetti distributivi, il top manager ha annunciato che aperture di boutique avverranno solo nel medio periodo, ovviamente nelle principali piazze del lusso globale come Parigi, Milano, Singapore.
Come noto, Fabergè fu fondata nel 1842 a San Pietroburgo da Gustav Fabergé, il cui figlio Peter Carl divenne il gioielliere ufficiale della Corona Imperiale realizzando nel 1885 il primo uovo della mitica serie, concepito come raffinatissimo dono dello Zar Alessandro III alla moglie Maria Dagmar di Danimarca. Il gioiello, strutturato sul modello delle matrioske, aveva al suo interno un tuorlo d’oro che a sua volta conteneva una gallina d’oro al cui interno si celava una piccola corona imperiale con un rubino a forma di uovo. Le preziose creazioni garantirono alla maison un prestigio assoluto su scala internazionale, finché nel 1917 non deflagrò la rivoluzione leninista, che portò alla fine dei Romanov ed alla cacciata dello stesso gioielliere, a cui furono sottratti tutti i beni. Poi del marchio Fabergè si sentì parlare per meste ragioni di cronaca solo nel 1951 in occasione di un processo che vide soccombere i discendenti di Peter Carl, privati di ogni diritto allo sfruttamento del nome. Fu così che il brand passò ad una società americana per l’incredibile cifra di soli 25 mila dollari, che stridono a confronto degli 1,55 miliardi versati nel 1989 da Unilever, multinazionale leader nel settore dell’igiene e cura della persona, per acquisire Fabergé Inc (la quale intanto aveva rilevato la maison cosmetica Elizabeth Arden). Unilever cercò di far fruttare il prestigioso marchio ideando ben 10 licenze per diversi prodotti, dalle cravatte agli occhiali da vista, dal profumo “Brut” alla Barbie Fabergé in edizione limitata, selettivamente distribuiti nel mondo. Il resto è storia dei nostri giorni con Pallinghurst Resources (guidata da Brian Gilbertson, ex Ceo del colosso minerario Bhp Billiton) che nel 2007 compra Fabergé per 38 milioni di dollari, investendone poi altri 160 per riposizionare il brand al vertice della gioielleria. Dopo il drastico taglio di tutti i licenziatari ad eccezione di quello per gli orologi, nonché lo sfoltimento della gamma di prodotti ed il ridimensionamento della rete di negozi, nella maison vengono fatte entrare Tatiana e Sarah Fabergé, pronipoti di Peter Carl, e nel 2009 avviene il lancio della prima collezione di haute joaillerie. Lo stesso anno ha visto l’apertura a Ginevra della prima boutique monomarca della nuova era della maison. E’ quindi seguito l’opening di un negozio a Londra Mayfair, di un altro a New York in Madison Avenue e di due corner nel londinese Harrods e in Lane Crawford a Hong Kong. Ed oggi Fabergè “brilla” in Borsa.