Il futuro del design è già qui
Ancora una volta il Salone del Mobile, svoltosi a Milano dal 9 al 14 Aprile, ha illuminato il capoluogo lombardo irradiando la creatività italiana ai 5 continenti. Con lo slogan “A Milano, il mondo che abiteremo” i 2500 espositori hanno presentato al folto pubblico le loro novità, quest’anno più che mai all’insegna dell’innovazione tecnologica (soprattutto in ottica di risparmio energetico), della personalizzazione dei prodotti (in particolare per il mercato di fascia top), dell’applicazione del design al sociale, dell’etica e della sostenibilità ambientale. Ma anche del vintage che recupera vecchie tradizioni e delle sempre più diffuse esigenze (specialmente dei clienti giovani) di arredare casa con buoni pezzi di design low cost.
Insomma né il Salone, che detta le tendenze dell’abitare, né il collaterale Fuori Salone, che innerva di suggestioni la vita culturale della metropoli, deludono mai, sfidando sempre con successo le nuove realtà, i nuovi modi di pensare, i nuovi gusti, i nuovi bisogni del pianeta. Milano, dal canto suo, si è di nuovo rivelata ospite d’eccellenza, esercitando tutta la sua carica attrattiva sulle menti e sui cuori dei visitatori.
Quella del 2013, però, è stata un’edizione che ha dovuto fare i conti con la crisi nerissima del settore dell’arredo, che negli ultimi cinque anni ha tagliato gli addetti di 51.651 unità, ma che comunque continua a macinare utili contribuendo all’attivo della bilancia dei pagamenti con oltre 7 miliardi (dato riferito all’anno scorso). Infatti è l’export, a fronte di un mercato interno spento (-40% nell’ultimo triennio), a trascinare la volata, con clienti di fascia alta nuovi (Cinesi) e vecchi (Americani) sempre interessati ai nostri manufatti.
Sì, perché le nostre imprese, malgrado la scure dell’accesso al credito e la mancanza di politiche industriali serie ed organiche, restano pur sempre competitive grazie alla loro qualità ineguagliabile. Dovranno, però, dotarsi sempre più degli strumenti giusti per mantenere la leadership, investendo nella ricerca, nelle nuove tecnologie che consentono di raggiungere in un click clienti lontani; puntando meglio sulle leve del marketing, in particolare distribuzione e comunicazione; recuperando la straordinaria energia creativa ed il savoir faire degli anni ’60, ovvero riscoprendo la dimensione artigianale e ripensando il paradigma del design all’insegna di un ridimensionamento della quantità. Ma anche rafforzando l’attività di lobbying per convincere i pubblici poteri a capitalizzare maggiormente nell’arredamento.
Insomma, occorre una nuova forma mentis che consenta di guardare oltre la crisi per aprirsi al mondo e lanciargli proposte tali da rendere i prodotti italiani assolutamente distintivi. Sembrano diretti nella direzione giusta, ad esempio, gli sforzi dell’Associazione di categoria Federlegno, che sta appoggiando presso il Parlamento Europeo un disegno di legge per favorire la tracciabilità e l’etichettatura “made in”, provvedimento che favorirebbe enormemente l’export del Belpaese. Allora serve più innovazione, più controcultura, più fusione di competenze diverse, più contaminazione tra ambiti. Lo dimostra il settore dell’home entertainment che sta crescendo senza sosta all’interno delle nostre abitazioni, intercettando mood e stili di vita delle nuove generazioni, rendendo multifunzionale – “smart” – ogni oggetto di uso quotidiano, dallo specchio al piatto, dal divano al comodino. Insomma noi Italiani siamo ancora i migliori designer e produttori del mondo, ma dobbiamo imparare ad essere migliori venditori dei nostri prodotti e della nostra meravigliosa “visione”.