Si fa presto a dire spot
L’ultima frontiera della comunicazione di moda è il fashion movie. Le grandi griffe si affidano sempre più alla macchina da presa per comunicare la propria immagine, attraverso piccoli corti d’autore, seguendo un trend di cui pionere fu, già nel 2000, il fotografo inglese Nick Knight fondatore di Show studio, la prima piattaforma web dei video di moda.
Miu Miu, per esempio, ha una sezione del sito dedicata a Women’s tales, una serie di quattro cortometraggi che espolarano una storia di amore al femminile, da diversi punti di vista e sensibilità.
E dalla collaborazione di due grandi nomi della moda e del cinema, come Prada e Roman Polansky, nacque A Therapy, un film di 3 minuti che fu presentato a Cannes lo scorso anno, in selezione ufficiale, nonostante si trattasse di uno spot.
Del fenomeno dei corti di moda si è parlato con il regista Luca Guadagnino, all’università Cattolica di Milano nel corso di una conferenza intitolata “Fashion movies. Il cinema come strumento di comunicazione per la moda” , organizzata da ModaCult, Centro per lo studio della moda e della produzione culturale.
Ci sono diversi modi di comunicare la moda attraverso la macchina da presa. L’ultima tendenza, dopo il foto shoot filmato è, per esempio, filmare il backstage dello shooting. Perchè “lo spot non basta più e per creare una strategia di comunicazione più forte si sfrutta tutto fino a confezionare lo spot dello spot” , ha spiegato il regsita a cui Cartier ha affidato L’amore vero ha un colore e un nome, la trilogia di short movies ambientati a Parigi, dedicati all’anello di fidanzamento
Ma che differenza c’è tra lo spot e il film? Oltre alla durata – un corto dura in media 2’, ma puo’ arrivarenche a 15’- il contenuto: lo spot è di solito astratto, mentre lo short movie racconta una storia vera e propria. E attraverso la storia il brand si promuove, comunicando il proprio sentimento, un modo di essere, in una sorta di “autobrandizzazione in cui il cliente vuole dire non più: io ho il brand, ma io sono il brand”, ha spiegato Guadagnino.
Ma nell’epoca dei video virali da cosa dipende la buona riuscita di un fashion movie? Secondo Guadagnino la comunicazione in questo caso è tanto più efficace quanto maggiore è la capacità del marchio di conoscere il proprio desiderio. Non è un caso che nei fashion film più raffinati il marchio si intravede soltanto per tutta la durata della storia. In “A therapy” , per esempio, il cappotto, oggetto del desiderio, è più un classico del guardaroba di un’altolocata che un capo di Prada immediatamente riconoscibile. In questo, ha spiegato Guadagnino, sta la genialità del film: identificare il brand con i valori dell’intelligenza e dell’umorismo, attraverso un racconto in cui il marchio da invisibile diventa totalizzante.