Il piatto ride
La conoscenza della moda e dei modi passa anche attraverso l’indagine dei costumi alimentari. Così, questa volta abbiamo voluto intervistare uno chef vegetariano, per capire meglio il nostro tempo, le dinamiche e i valori di una società sempre più fluida e diversificata. Nella fattispecie ci siamo rivolti ad un giovane e colto cuoco milanese, Michele Maino, titolare della “Osteria al 55” in Via Messina. Formazione internazionale, ex-giornalista e studioso di lingue orientali, con la sua apertura intellettuale e la sua esperienza poliedrica, Maino ci ha aiutato a degustare al meglio il “sapore” del presente.
Mangiare vegetariano è più una moda, un’esigenza salutistica, un’istanza etica?
In verità è tutte e tre le cose: naturalmente, l’ordine di importanza fa la differenza. Ritengo che alla luce dei più recenti studi clinici, mangiare vegetariano sia non solo un’esigenza per la salute, ma quasi un imperativo. Ed ecco il richiamo etico (oltre alla grande questione della violenza sugli animali…). Infine, proprio perché si tratta di un tema di scottante attualità, non poteva che interessare anche i trendsetter e diventare quindi un fenomeno di moda (ancora una nicchia, in questa reviviscenza mediatica della cucina alla quale stiamo assistendo sul piccolo schermo).
Cosa significa esattamente essere vegetariano? Implica solo un modello alimentare o uno stile di vita tout-court?
Non esiste una ricetta. Ci sono diversi approcci all’alimentazione vegetariana, che possono essere più o meno ideologici, supportati o meno da un apparato epistemologico, accompagnati o meno da una sensibilità particolare. Ciò che posso dire con certezza, perché frutto di conoscenza empirica, è che il corpo diventa più sensibile, più etereo, meno pesante… e quindi più predisposto a seguire un intelletto curioso.
Nel mondo della moda – modelle, stilisti, fotografi, giornalisti, ecc. – il vegetarianesimo sembra piuttosto diffuso. E’ il mero bisogno di restare in linea o come lo spiega?
Anche la cocaina è molto diffusa negli stessi ambienti. Dubito che sia per il bisogno di magrezza. Credo che, da un lato, queste categorie di persone abbiano bisogno, proprio per la natura stessa del loro lavoro, di essere sempre “up to date”. Secondariamente, una certa cucina rarefatta di impronta vegana o, più di recente, vegana-crudista, penso abbia un forte impatto emotivo e filosofico su chi è votato a una magrezza patologica, come molte indossatrici, a patto però di non comprenderla fino in fondo.
In sintesi, quanti tipi di alimentazione vegetariana esistono?
I vegetariani non mangiano la carne e il pesce. Alcuni non mangiano nemmeno le uova. Altri mangiano le uova, ma non i prodotti caseari. Chi non magia nulla di origine animale, nemmeno il miele, è detto vegan, o vegano.
Su quali forti valori e caratteri distintivi si fonda la Sua cucina? Che ingredienti predilige?
Gli ingredienti ai quali attingo per realizzare la mia cucina sono per l’80% di origine locale, il più possibile a km 0, e il restante 20% di origine “etnica”: una proporzione che rispecchia appieno l’attuale composizione della nostra società. Prediligo ingredienti freschi, puri, non lavorati.
Cucinare vegetariano è esclusivamente una questione di ingredienti o anche di metodi?
E’ una questione sia di ingredienti sia di tecniche. Nella mia cucina in particolare, benché io provenga dalla scuola francese che predilige le tecniche, amo far “parlare” gli ingredienti. Ad esempio, piuttosto di un blend di spezie, preferisco che sia solo un aroma ad esprimersi nel piatto, per permettere a chi l’assaggia di sperimentare in modo assoluto quel mero elemento.
In quali piatti si esprime al meglio la Sua arte culinaria?
Come esempi potrei portare il risotto alla curcuma fresca e Roquefort, che serviamo alla “Osteria al 55”, dove la tradizione lombarda del risotto incontra il sapore orientale della curcuma fresca (preziosissimo antiossidante) e il famoso erborinato di pecora francese. Oppure la panna cotta. un piatto semplicissimo della nostra tradizione, ma realizzato con addensanti di origine vegetale e insaporito con degli agrumi orientali. Insomma: tradizione e novità mescolati con criterio, con la giusta misura, per realizzare piatti gradevoli e riconoscibili, ma nello stesso tempo originali e spiazzanti, anche fosse solo per un piccolo dettaglio.
Che formazione ha ricevuto come chef? E quanto importante è stata la Sua educazione precedente nel forgiarLa in cucina?
Ho frequentato la scuola di alta cucina francese “Le Cordon Bleu”, che mi ha messo in grado di creare piatti aventi anche una valenza estetica, quindi una cucina bella e buona. Ho voluto diventare chef dopo essere diventato vegetariano: mi imbattevo in troppo cibo scadente e desideravo realizzare una mia cucina. In precedenza mi ero laureato in lingue orientali ed avevo lavorato come giornalista e fotografo: queste esperienze mi hanno aperto la mente spingendomi verso ricette fusion ponderate, che non siano solo miscugli dettati dalle mode.
E’ dimostrabile scientificamente che seguire un regime dietetico vegetariano non comporta rischi per la salute?
Anzi, essere vegetariani giova alla salute, come ha dimostrato un approfondito studio recentemente pubblicato (“The China Study” dello scienziato americano T. Colin Campbell, edito in Italia da Macro Edizioni) che ha comparato in tre decenni gli stili di vita di varie popolazioni, dimostrando che chi segue un’alimentazione vegetariana sta meglio e si ammala di meno, soprattutto va incontro a minori rischi tumorali.
Quanto business ruota attorno alla cucina vegetariana? Ciò fa lievitare i costi?
Sicuramente il giro d’affari è notevole, in particolare se riferito a certi nomi. Per quanto riguarda i prezzi, bisogna tener presente che quella vegetariana è spesso una cucina di ricerca molto sofisticata, che richiede acquisti speciali e lavorazioni ad alta intensità di manodopera, per cui i costi crescono. Comunque io cerco di contenerli il più possibile, malgrado persegua la massima qualità: un menù completo da me costa sui 36 euro (vino escluso).
Infine, è banale, ma ineludibile, la richiesta di una ricetta facile facile per i nostri lettori, soprattutto per i più inesperti ai fornelli…
Zuppa di cavolo rosso
Ingredienti: 1 cavolo rosso di media grandezza, 1 cipolla rossa, 1 litro di latte di riso, sale integrale, olio di oliva, sesamo bianco, sesamo nero
Procedimento: mondare la cipolla, tagliarla in due e affettare finemente le due metà. Mettere un filo d’olio in una pentola e farlo scaldare a fuoco medio. Quando l’olio è caldo, aggiungere la cipolla e soffriggere senza colorare. Rimuovere la foglia più esterna del cavolo, dividerlo in due e tagliare ciascuna metà a striscioline come se fossero crauti. Aggiungere il cavolo alla cipolla, salare e far stufare per una ventina di minuti evitando accuratamente che la preparazione prenda colore: se necessario, aggiungere un po’ d’acqua. Quando il cavolo avrà acquistato un bel colore blu intenso e sarà appassito, aggiungere il latte di riso. Portare a bollore, spegnere il fuoco e, con un minipimer a immersione, rendere il tutto una crema densa e omogenea. A parte, tostare il sesamo in una padella o in forno (a 180° per 5 minuti). Servire la crema e decorare con il sesamo che, da buon esaltatore di sapidità, intensificherà il piccante naturale del cavolo.