Dal ripiegamento alla rinascita
In questo periodo di piena estate, obnubilati da un clima ballerino connotato da manifestazioni ora canoniche ora impreviste e disorientati da notizie contraddittorie ora frivole ora terrorizzanti, facciamo fatica a tenere “il passo giusto”.
Siamo continuamente bombardati da consigli, suggerimenti, proposte.
Riguardo ai viaggi, alle vacanze, al modo di vestire, al modo di mangiare, al modo di seguire l’etichetta urbana e non, al modo di vivere……
E si affastellano tra i media caotiche e varie descrizioni di quelle tipologie umane che caratterizzano questa stagione così “borderline”, così “a rischio”.
C’è una sorta di accanimento nel sottolineare quegli atteggiamenti che mostrano il lato “oscuro” della natura umana. Nell’indicarne la parte peggiore. Nel presentarne la smarrita speranza di riscatto.
Sprazzi di titoli mi tornano alla mente; stralci di articoli mi solleticano la memoria; lampi di parole mi attraversano gli occhi.
“Questa lunga estate barbara”. “Non potete vivere senza”. “Troppi maleducati in città”. “Quando lo stile va (purtroppo) in vacanza”. “È lo squallore che mi commuove”. “Le volgarità da evitare, il bon ton da ripassare”…….
Tutto vero, per carità!
Non bisogna infatti stancarsi di ripetere certi concetti o di indicare -senza troppo snobismo- certi criteri da non perdere d’occhio per non cadere in trappole -con la scusa della “comodità” e di una “meritata” rilassatezza- pronte a scattare ovunque ci si trovi.
Ed è giusto e quasi “doveroso” “riprendere” chi -ad esempio- tuffa le proprie estremità inferiori nelle fontane senza curarsi minimamente del fatto di offrire uno spettacolo aberrante o chi entra nei negozi con le proprie nudità traballanti e sudaticce in piena vista; chi, disidratato dall’aria condizionata, beve sfacciatamente dal collo della bottiglia dell’acqua dietro il tavolo di una sala riunioni o chi si presenta in spiaggia “attaccato” al cellulare con il tono di voce appositamente elevato per far sapere a tutto il circondario le recenti prodezze atletiche o le ultime conquiste amorose; chi indossa in città shorts inguinali estremamente inopportuni o chi porta con disinvoltura in ufficio “un’originale maglietta traforata” -il caldo, il caldo!!- sulla cui parte posteriore un “gioco” di buchi intagliati ad hoc raffigura un teschio gigante………
Il tempo, il luogo, l’adeguatezza, l’eleganza. Spariti? Chissà……
Forse un po’. Contagiati da un imperante lassismo e da una noncurante condotta. Ma non voglio crederci così tanto. Voglio avere fiducia.
Siamo infatti sempre tentati di attribuire certe peculiarità così spiccatamente pittoresche solo a noi, abitanti di questo “Stivalaccio” buttato nell’acqua così ricco di grandi meraviglie e così dotato di innumerevoli possibilità, in una sorta di autolesionismo inquietante e nocivo.
Abbiamo tanta bellezza intorno, così tanta da esserci quasi assuefatti alla sua presenza. Freddi nel riconoscerla, titubanti nel nominarla.
“Rinveniamo” un attimo quando qualche ospite “forestiero” ce lo rammenta e ci decanta i nostri “siti” riconosciuti dall’Unesco -l’Italia, si sa, è il Paese che ne detiene il maggior numero!- con l’entusiasmo di chi ha lo sguardo corretto per capirne la portata. E ci facciamo un esamino di coscienza quando qualche esperto ci ricorda che noi abbiamo più musei che in tutto il resto del mondo, e cibo meraviglioso, e gusto eccellente, e creatività da vendere -il doppio senso è d’obbligo- e qualità uniche e diverse le une dalle altre, pronte ad accontentare tutti…..
Credere che “molto” potrebbe partire da qui non è “cosa da pazzi”. O cosa “da poco”.
Diventarne consapevoli, eliminando retoriche trite e ritrite, sarebbe finalmente un gesto responsabile.
È già capitato. Può capitare di nuovo. Qualcuno ci sta provando.
Ad Asti, per esempio, cuore di una regione generosa e concreta dove è in atto fino al 3 di novembre una mostra dal titolo particolarmente affascinante: “La Rinascita. Storie dell’Italia che ce l’ha fatta”.
“Vent’anni di produzione artistica e industriale che hanno consacrato l’Italia come patria del design, della moda, della creatività”. Tre palazzi -Mazzetti, Alfieri, Ottolenghi- nel centro storico della città preposti a ospitare le testimonianze della dinamica di un Paese capace -dopo la guerra- di guardare avanti e di credere incondizionatamente in una trasformazione avverabile e duratura.
La storia di un’affermazione talentuosa e di una fiducia evidente. Di una tenace volontà e di una indispensabile leggerezza.
L’arte, l’architettura, il cinema, la moda, il design. Giò Ponti, Carlo Mollino, Alberto Burri, Marco Zanuso, Federico Fellini, Roberto Capucci…..
La plastica esposta insieme alle opere d’arte, l’avanspettacolo con il cinema impegnato, la “pasta per tutti” con l’automobile “a portata di tutti”, l’alta moda con le sartine…….
Un unico obiettivo in un unico abbraccio. Valori condivisi: in essi -“per” essi- il focus, la spinta, il desiderio di “fare”.
“Ritorno al futuro: guardare a ciò che è accaduto per trovare soluzioni per il domani”: questo l’incipit di un recente articolo di Gianluca Bauzano, acuto e arguto giornalista “innamorato” del tema.
“Abbiamo accostato l’alto e il basso perché tutto contribuì alla rinascita della nazione”: questa la democratica dichiarazione del curatore della mostra, Davide Rampello, ex presidente della Triennale di Milano e attuale curatore delle attività artistiche e culturali di Expo 2015.
“La tradizione non è il culto delle ceneri ma la custodia del fuoco”: questa l’affermazione straordinaria -pur non recente!- di Gustav Mahler da tenere sempre ben presente. Da serbare per scuoterci, per ridestarci. Adatta a “noi”. Che abbiamo bisogno di farci incantare nuovamente da qualcosa che già “c’è” e che chiede solamente di essere ripreso in mano e ravvivato.
Mettiamoci i guanti, allora, perché il trattamento che dobbiamo affrontare richiede maniche rimboccate e presa delicata ma salda. Togliamoci travestimenti superflui e manie ridondanti. Entriamo in punta di piedi, con passo leggero ma fermo…..e senza tacco dodici o voci chiassose…….
Dedichiamoci al bello, fautore e compagno fondamentale del buono. Già da ora che, complici i momenti vuoti, siamo forse più predisposti ad ascoltarci, a spaziare con la mente, a dare vita ai sogni.
Il resto verrà da sé.