Sofia Coppola e le donne dei suoi film. Parte seconda
Il film che consacra il talento della regista americana Sofia Coppola è “Lost in Translation-L’amore tradotto”, lanciato nel 2003, candidato a quattro premi Oscar e vincitore di uno. A Tokyo, nello stesso albergo, alloggiano gli americani Bob (Bill Murray), attore in crisi di mezza età, arrivato nella città per girare uno spot pubblicitario, e la giovane Charlotte (Scarlett Johansson), fresca di laurea e matrimonio, che ha accompagnato il marito, celebre fotografo, in un viaggio di lavoro. Soli ed annoiati (Bob ha lasciato moglie e figli a casa, il marito di Charlotte è sempre in giro a lavorare), sono arrivati ad un punto in cui non sanno più che cosa fare della propria vita e perciò mettono in discussione tutte le scelte che hanno fatto, cosa che li porta a passare gran parte del loro tempo nelle loro camere: Bob in uno stato di inattività, Charlotte cercando di dedicarsi a qualche passatempo (lavoro a maglia, composizioni floreali, decorazioni di carta e audio-libri). Una sera fanno conoscenza e decidono di condividere le loro notti insonni in giro per la città, dando il via ad un’amicizia -che forse è qualcosa di più-, di cui sentono il bisogno nell’ambiente in cui si trovano a loro estraneo.
L’abbigliamento di Charlotte assomiglia a quello abituale della stessa Coppola, pur prendendo una via più casual, maggiormente adatta per girare in una città: fanatica delle tonalità scure come blu scuro e nero, soprattutto per la sera, ha un debole per le camicie, solitamente bianche, rosa chiarissimo o azzurre con righine verticali bianche, anche se una volta la si vede indossare una polo blu scuro a maniche lunghe con colletto rosso, che solitamente abbina a gonne nere a matita o a pieghe oppure a pantaloni bianchi morbidi. Sopra porta golf di colori scuri, rossi o a righe, oppure una felpa grigia con cappuccio, mentre in giro per la città, come soprabito, indossa un cappotto nero o una giacca impermeabile bianca, con ai piedi scarpe da ginnastica bianche o ballerine nere. L’unica nota di colore è la sua borsa rossa; in una delle immagini più famose del film, durante una delle notti in giro con Bob per Tokyo, è ritratta con indosso una parrucca a caschetto rosa. Nella gran parte del film in cui invece la si vede in camera, vi si aggira inquieta in mutande, con sopra una t-shirt, una camicia aperta con sotto una canotta, un golf grigio a maniche lunghe oppure una larga maglietta del marito, più svestita che vestita, con la stessa noncuranza,al limite della sciatteria, di una donna qualunque al che si trova in casa propria.
Nel 2006 la Coppola passa al film in costume con “Marie Antoinette”, incentrato sulla giovinezza della regina di Francia (1755-1793) moglie di Luigi XVI ghigliottinata durante la rivoluzione francese. Il film la segue dal suo arrivo a Versailles fino allo scoppio dei moti rivoluzionari nel 1789. Ritornando a lavorare con Kirsten Dunst, la regista americana crea la sua originale versione di un film sulla vita di una regina, sfuggendo ai cliché del genere. Sposata a quattordici anni, Marie Antoinette è una ragazzina costretta a diventare donna troppo in fretta, che si ritrova ad affrontare tutto in una volta, il distacco dalla sua Austria, il difficoltoso conformarsi all’etichetta di corte, il matrimonio deludente, le pressioni dei genitori e l’avversione di nobiltà e popolo. Per quanto riguardo l’accusa di frivolezza rivolta da sempre alla sovrana francese, la Coppola mostra come una giovane donna, schiacciata dal suo ruolo e terribilmente sola, abbia trovato nei vestiti, nelle scarpe, nelle feste e nei cibi prelibati un modo per distrarsi dalla dura realtà, come molte donne oggi e in tutte le epoche. La ragazzina scialba che arriva a Versailles con un completo da viaggio di un grigio così spento da farla apparire insignificante non assomiglia affatto alla donna superficiale e alle volte lasciva, abbigliata con gli articoli più lussuosi, artificiosi e alla moda, che si vede nel resto del film. Per rendere questo personaggio più contemporaneo, la Coppola ha fatto scelte controcorrente come la colonna sonora, che alterna musica classica del periodo a canzoni rock, e le Converse azzurre (marca di scarpe da sport di oggi) che si intravedono tra le scarpe che la regina prova nella scena più famosa del film, una serie di sequenze in rapida successione in cui lei, in compagnia delle sue dame, prova vestiti, scarpe, pizzi, nastri e stoffe, mangiando tra un abito e l’altro dolci di colore rosa confetto.
Gli stessi costumi, in linea con la moda settecentesca, disegnati da Milena Canonero e premiati con l’Oscar, sembrano mettere in evidenza la proverbiale frivolezza della regina, perché il colore che maggiormente abbonda è il rosa confetto, dall’effetto vezzoso e bamboleggiante. Questa scelta stilistica, così come la “superficialità” della monarca, si adatta perfettamente alla moda del periodo, sia maschile che femminile, caratterizzata da un’artificiosa leggerezza, come ben si evince dalla grande abbondanza di decorazioni come pizzi, fiocchi, volant, perle, piume e fiori finti che adornavano gli abiti, le imponenti acconciature e gli accessori.