L’ossessione per la qualità non ha prezzo
Cura maniacale della produzione (interamente svolta in Italia!), materie prime di qualità assoluta, nessun cedimento alla tentazione di fare seconde linee, focalizzazione su negozi distintivi che siano veicolo per l’immagine e i conti aziendali, relativo distacco dalle celebrities bilanciato dalla piena coerenza a se stessi: con queste mosse azzeccate, in poco più di 40 anni, la maison del lusso maschile sartoriale Stefano Ricci Spa è assurta a emblema del Made in Italy in vetta ai desideri dei plenipotenziari ai quattro angoli del globo. Non solo: il brand fiesolano ha tracciato una via che sempre più sembra quella obbligata (o comunque più opportuna) per tutti i marchi del Made in Italy che vogliano dominare il mondo sul lungo termine.
Davvero Stefano Ricci si è reso è protagonista di una delle crescite più forti del settore della moda negli ultimi tre anni, malgrado la crisi economica internazionale: fatturato lievitato a 47 milioni nel 2010 (+38%), salito a 57 milioni nel 2011 (+21%) e poi schizzato a 89 milioni nel 2012 (+56%), con un margine operativo lordo del 23% e un export del 90% (soprattutto verso Cina, Russia, Usa). Tra l’anno scorso e quest’anno l’azienda toscana ha assunto una novantina di persone, portando il numero di dipendenti a quota 242, tra formidabili tagliatori che incidono pelli di coccodrillo, orafi che incassano diamanti e pietre preziose, sarte che cuciono camicie, giacche e pantaloni con una perizia straordinaria (a questi addetti se ne aggiungono altri 110 commerciali nel pianeta). In effetti, dallo stabilimento e dagli atelier di Fiesole della società di famiglia, escono abiti che richiedono 130 ore di lavorazione, cappotti di pregiata vigogna con revers di zibellino degni di uno zar, borsette femminili realizzate in cocco solo su ordinazione e con lista d’attesa di oltre un anno: impreziosite da fibbie tempestate da 1340 brillanti taglio pavé, sono in vendita a 110.000 euro ciascuna. Senza contare i sontuosi blouson di cocco foderati di seta o visone, fra i capi più venduti nelle boutique Ricci, e i pull celestini di seta e cachemire con profili invisibili sempre di cocco, ma in tinta (detto fra noi, pare che l’articolo più accessibile sia un paio di jeans da 700 euro).
Da poco, inoltre, é stata lanciata una linea super-sartoriale con l’intento realizzare esclusivamente a mano gli abiti su misura dei clienti più esigenti, tra i quali si annoverano Sovrani e Capi di Stato, nonché illustri personaggi del mondo dello spettacolo e della cultura.
Uno dei “segreti” della maison è stato capire per tempo che i negozi potevano essere il miglior strumento di marketing per chi puntava tutto sul Made in Italy di qualità: già 20 anni fa Stefano Ricci inaugurava il primo monomarca in Cina, seguito dall’apertura di 25 boutique che entro l’anno corrente diventeranno 40, per proseguire in futuro il piano retail che prevede almeno sette aperture all’anno nei prossimi tre anni (metà dirette e metà in franchising), così da raggiungere quota 60 nel mondo entro il 2016. A breve, poi, appariranno le insegne dell’azienda italiana a Dubai, Pechino, Mosca, Ekaterinburg, San Pietroburgo, Ningbo, Shanghai, Xian, Mumbai, Baku, Macao, Ginevra. Come ha spiegato Niccolo Ricci, amministratore delegato della società, “abbiamo scelto di fare negozi sempre più prestigiosi perché i nostri clienti si aspettano esattamente questo. Forse non avremo un customer service che manda gli auguri a casa, ma chi entra in un nostro negozio viene trattato come un capo di Stato e, se sceglie tessuti esclusivi per un abito su misura, viene visitato a casa dal sarto e dal direttore che vanno a prendergli le misure”. Del resto è questa sin dalle origini la filosofia della maison.
Da ciò si evince quanto Ricci sia ossessionato dai concetti di qualità e di “eccellenza artigianale”, sempre più graditi ad una clientela cosmopolita e perfezionista: circa il 98% del giro d’affari è conseguito all’estero, in primis in Cina e in Russia. Nei suoi negozi italiani (Milano, Firenze, Costa Smeralda) i primi acquirenti sono proprio “i paperoni stranieri in trasferta” desiderosi di vivere una shopping experience che si nutre dei valori dell’azienda-famiglia e della cultura del sapere artigiano in cui il cliente che ama lo stile ricercato e sartoriale può esaudire il suo desiderio massimo di eleganza.