Buona Fortuny!
E’ stato un anno di intensi ricordi e celebrazioni – questo 2013 – per un grande “creatore di moda e di modi” quale fu Mariano Fortuny (1871-1949), catalano di origine ma veneziano di adozione. Prima è stato co-protagonista di una grande mostra tenutasi a Venezia nel Museo che porta il suo nome (“Fortuny e Wagner: il wagnerismo nelle arti visive in Italia”, a cura di Paolo Bolpagni, autore pure del magnifico catalogo); poi tra Padova e Venezia si è svolto il convegno internazionale di studi “La scena di Mariano Fortuny”, frutto della collaborazione tra Università degli Studi di Padova, Fondazione Giorgio Cini, Università Ca’ Foscari di Venezia, MUVE (Fondazione Musei Civici Venezia) e Museo Fortuny.
In riferimento alla mostra, concepita per celebrare il bicentenario della nascita di Richard Wagner (morto a Venezia nel 1883), si è trattato di un evento che ha messo in luce l’influenza, a livello iconografico ed estetico, del grande musicista e compositore romantico sulle nostre arti visive tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Il wagnerismo, in effetti, fu una moda culturale ad ampio raggio, che nelle sue varie espressioni (letterarie, musicali, pittoriche) si collocò fra tardo-naturalismo, simbolismo e liberty, e Mariano Fortuny ne fu uno dei più sensibili interpreti ed esegeti, curando molte scenografie di capolavori del Maestro. Così nella rassegna di Palazzo Fortuny, avvolta in un’aura “magica”, si è potuto ammirare per la prima volta l’intero ciclo wagneriano, comprendente 47 dipinti di proprietà del museo e numerose incisioni (spesso realizzate per le rappresentazioni del teatro di Bayreuth): “cose” di una bellezza assoluta, tali da provocare tutti i sintomi della sindrome di Stendhal, che rivelano come Fortuny fosse molto più di uno stilista per assurgere al ruolo di artista completo. In occasione dell’esposizione veneziana le sue opere sono state messe a confronto anche con quelle di altri autori (Lionello Balestrieri, Giuseppe Palanti, Cesare Viazzi, Eugenio Prati, Gaetano Previati, Alberto Martini, Adolfo Wildt, ecc.) che si ispirarono ai personaggi e alle scene dei drammi musicali del titanico genio tedesco.
Di fatto, quando Richard Wagner morì, gli artisti dell’epoca ne fecero la “musa” e il punto di riferimento della loro arte per l’indiscusso fascino che la sua musica sapeva esercitare e per quell’ideale di “arte totale” che rendeva universale l’esperienza creativa, in una sublime armonia dei linguaggi. Mariano Fortuny, “rapito” dal teatro sin dall’infanzia e attento studioso degli allestimenti, delle luci, dei meccanismi spettacolari, realizzò appunto un “ciclo wagneriano” popolato di valchirie, fanciulle-fiore, nibelunghi, Parsifal, Sigfrido, Tristano… Non a caso in mostra a Venezia, c’erano anche i frammenti in gesso della colossale statua che Fortuny dedicò al “Puro Folle” (Parsifal). E non mancavano le performance di artisti contemporanei quali Joan Brossa, Anselm Kiefer, Antoni Tàpies e Bill Viola, a dimostrazione dell’influenza perdurante del “vate” teutonico nei secoli dei secoli.
Ma, oltre che con Wagner, Fortuny fu in stretto rapporto anche con l’arte di D’Annunzio e soprattutto Proust: basti pensare alle ultime parti della “Recherche” in cui appaiono tra le righe gli abiti e le stoffe realizzati a Venezia dal laboratorio Fortuny sull’isola della Giudecca, scelti dallo scrittore per la misteriosa Albertine. «… dicono che un artista di Venezia, Fortuny, abbia ritrovato il segreto della loro fabbricazione e che, fra qualche anno, le dame potranno passeggiare, e soprattutto stare a casa loro, in broccati splendidi come quelli che Venezia ornava, per le sue patrizie, con i disegni dell’oriente» (M. Proust, “All’ombra delle fanciulle in fiore”, “Alla ricerca del tempo perduto”).
Per quanto riguarda il convegno internazionale dedicato a Mariano Fortuny, nato nell’ambito del progetto “Atlante Fortuny”, è risultato veramente utile a illustrare la “visione teatrale” e dunque le tematiche che il versatile artista attraversò nella sua lunga carriera. Fra gli argomenti discussi, le relazioni con i grandi maestri della messa in scena del primo Novecento, quali Adolphe Appia e Max Reinhardt, i contatti con il mondo della danza, in particolare con Isadora Duncan (la “divina” per cui lo stilista creò i meravigliosi “abiti Delfi” evocativi dello stile ellenico), Ruth Saint Denis e Loie Fuller, e le sperimentazioni scenotecniche e illuminotecniche.
Come accennato sopra, l’Università degli Studi di Padova ha intelligentemente deciso di finanziare il progetto “Atlante Fortuny” finalizzato ad una ricognizione delle fonti che hanno ispirato l’opera e la poetica teatrale del grande artista ispano-veneziano. L’obiettivo è quello di reperire, analizzare e porre in relazione in modo organico la miriade di documenti custoditi nei musei e nelle istituzioni italiane e straniere che abbiano conservato traccia dell’operato del poliedrico personaggio. La ricerca, avviata presso il Museo Fortuny dove sono ospitati un cospicuo fondo di materiali e la biblioteca che appartenne al Nostro, ha il suo “cuore” nello studio dell’attività teatrale, con particolare attenzione all’illuminazione della scena, da sviscerare meglio sotto il profilo poetico-teorico. Il progetto, che arriverà a mappare le relazioni instaurate da Fortuny nel corso della vita con gli artisti a lui contemporanei, si concluderà a inizio 2014.
Di Mariano Fortuny stilista ci siamo già occupati in passato con altri articoli. Qui ci basti ricordare che egli conquistò la fama soprattutto per la produzione di tessuti e abiti che affascinarono la più raffinata clientela internazionale. Il forte temperamento e l’estro creativo uniti alla conoscenza diretta dei motivi decorativi e allo studio sistematico delle tecniche di stampa antiche e moderne, dei colori e delle materie prime, gli consentirono di sperimentare infinite combinazioni di pigmenti, ottenendo effetti cromatici nuovi e inimitabili. La sua attività all’avanguardia in campo tessile – testimoniata da numerosi brevetti, depositati in Italia e all’estero, relativi a processi di tintura, congegni meccanici messi a punto per la stampa e modelli di sua ideazione – si accompagnò alla felice intuizione delle ampie prospettive commerciali che una fibra “povera” come il cotone avrebbe potuto avere se tessuta e tinta a imitazione dei più pregiati broccati di seta.
Tra le sue creazioni più suggestive e memorabili, impossibile non citare gli abiti
Delphos (1910-1930), in satin di seta avorio ispirati alle tuniche delle sculture greche, realizzati con una fitta plissettatura così da formare una foggia cilindrica modellantesi sul corpo in modo naturale. La sopravveste presentava rifiniture con perle in vetro di Murano, una sorta di trademark caratteristico di molte delle creazioni di Fortuny.
Per ulteriori notizie sulla vita, la personalità, l’opera professionale e artistica di Mariano Fortuny, si rimanda direttamente al sito www.fortuny.visitmuve.it… Oppure si legga di seguito.
Figlio di Mariano Fortuny y Marsal (1838-1874) – pittore di fama internazionale ed eclettico collezionista (di ceramiche moresche, armature, abiti e tessuti di foggia orientale, tappeti preziosi) – e di Cecilia de Madrazo (1846-1932), discendente di un’importante famiglia di pittori, architetti e critici d’arte, Mariano Fortuny nacque a Granada, ma trascorse l’infanzia e l’adolescenza tra Parigi e Venezia, dove si trasferì definitivamente nel 1889. Nei primi anni del soggiorno veneziano gli interessi artistici di Fortuny si estesero dalla pittura al teatro: eseguì i bozzetti per le scene e i costumi della tragedia “Francesca da Rimini” di Gabriele D’Annunzio; progettò e sperimentò un nuovo sistema di illuminazione indiretta per il teatro (brevettato nel 1900); costruì la Cupola Fortuny (brevettata nel 1904), l’apparato scenico che consentiva di concentrare la luce sulla scena e di regolarne facilmente la diffusione.
A Parigi, il suo studio era frequentato da numerosi personaggi del mondo dello spettacolo. Nel 1906, l’inaugurazione di un teatro parigino alla cui ristrutturazione Fortuny aveva partecipato sin dalla fase progettuale, segnò una svolta nel suo percorso professionale. Per la prima volta, infatti, egli vide applicate le sue invenzioni e, per l’occasione, poté disegnare anche i costumi di scena: grandi scialli in seta stampata, poi divenuti famosi con il nome di Knossos, drappeggiati sul corpo. Ornati da motivi vegetali e geometrici tratti dalle decorazioni parietali dell’arte cretese, essi erano testimonianza della rinnovata attenzione per il passato che si andava imponendo nel gusto dell’epoca. A Parigi frequentò anche il laboratorio avviato da Paul Poiret – dove, con la collaborazione di alcuni esperti di coloranti, furono perfezionati procedimenti tecnici di stampa dei tessuti –, un’esperienza che lo indusse a condurre a sua volta esperimenti sul disegno e sulla colorazione delle stoffe. Abbandonata la stampa mediante matrici di legno – relativamente semplice ma poco promettente dal punto di vista commerciale – Fortuny si im
padronì della più complessa tecnica dei pochoirs giapponesi (katagami), che modificò in funzione dello sfruttamento su scala industriale. Brevettato a Parigi nel 1910, il metodo da lui inventato – l’unione di un processo simile alla serigrafia con il meccanismo della banda continua – riduceva sensibilmente i costi della stampa rispetto ai procedimenti allora in voga e consentiva la ripetizione dei pattern figurativi su tessuti di grandi dimensioni. Nel volgere di pochi anni la produzione del laboratorio veneziano di Palazzo Orfei crebbe considerevolmente giungendo ad impiegare, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, oltre un centinaio di addetti.
La creazione di tessuti e di abiti, ai quali ancora oggi Fortuny deve la propria fama, era espressione del clima di rinnovamento complessivo delle arti – ispirato al movimento Art Nouveau e più in particolare, per quanto riguarda la moda, allo stile Reform inglese –, che si proponeva di restituire alle arti minori e applicate un ruolo di primo piano nella trasformazione della società. La nuova temperie culturale investì anche il teatro e il balletto. Attrici e ballerine del calibro di Isadora Duncan, Ruth St. Denis, Eleonora Duse, Sarah Bernhardt, Emma Grammatica indossavano sulla scena e nella vita privata gli abiti di Fortuny, che si servì della loro notorietà per far conoscere il proprio stile e imporlo sul mercato europeo. All’Esposizione delle Arti decorative di Parigi, svoltasi nel 1911, Fortuny presentò un vastissimo campionario della sua produzione tessile, che gli valse una rinnovata celebrità, tanto che a quella manifestazione fecero seguito, nel 1913, l’apertura di un nuovo atelier nella capitale francese (in Champs Elysées) e di uno a Londra (in Bond Street), nonché una rassegna espositiva delle sue stoffe organizzata a New York nel 1914 (presso la prestigiosa Galleria Carroll).
Il primo conflitto mondiale segnò una battuta d’arresto nella crescita della produzione di tessuti di Fortuny, che dovettero attendere la cessazione delle ostilità per vedere definitivamente decretato il proprio successo. Decisivo nell’imprimere nuovo impulso all’attività produttiva fu il trasferimento dell’attività nella fabbrica alla Giudecca di proprietà dell’industriale Gian Carlo Stucky – poi ceduta per un controvalore di 700.000 lire alla Società Anonima Fortuny, costituita nel 1923 –, dove fu avviata la produzione di cotoni stampati per l’arredamento che imitavano perfettamente i broccati di seta. I tessuti Fortuny, oltre ad essere impiegati nella confezione di costumi e nella realizzazione degli allestimenti di numerosi spettacoli teatrali, decoravano case patrizie e grandi alberghi, chiese e sale d’esposizione. Presentate alle più importanti rassegne nazionali e internazionali, le stoffe uscite dalla fabbrica lagunare ricevettero prestigiosi riconoscimenti, fra cui il “Diplome de Grand Prix”, rilasciato dalla giuria dell’Esposizione Internazionale di Arti decorative e industriali, svoltasi a Parigi nel 1925.
Nel 1927, la decoratrice d’interni americana Elsie McNeill, dopo aver visitato il Museo Carnevalet di Parigi e scoperto la bellezza dei tessuti Fortuny che ne rivestivano le sale, decise di partire alla volta di Venezia per conoscere Mariano e convincerlo ad affidarle i diritti esclusivi sulle vendite dei suoi prodotti negli Stati Uniti. In quello stesso anno fu così aperto a New York un punto vendita Fortuny al 509 di Madison Avenue in collaborazione con Arthur Humprey Lee, noto rivenditore all’ingrosso di tessuti. Le prospettive di conquista del mercato d’oltreoceano furono bruscamente ridimensionate dalla grave crisi economica mondiale del 1929, cosicché nel corso degli anni Trenta le vendite all’estero crollarono e nuove difficoltà insorsero con l’introduzione dei divieti all’importazione di sete, velluti e cotoni. Caduta nel vortice della crisi, la Società Anonima Fortuny cessò di esistere nel 1951 e la fabbrica venne conferita all’azienda Tessuti Artistici Fortuny, fondata da Elsie McNeill, che la moglie di Fortuny, Henriette, convinse a proseguire l’attività intrapresa dal marito. All’inizio degli anni Cinquanta, essa produceva soprattutto cotoni stampati. L’amore della contessa americana per il lavoro di Fortuny fece sì che egli diventasse sempre più famoso in America, dove i più importanti musei, fra cui il Metropolitan di New York e il County di Los Angeles, inserirono i suoi vestiti e le sue stoffe nelle loro collezioni.
Così Mariano Fortuny – stilista, pittore, architetto, scenografo, illuminotecnico, fotografo, incisore – entrò nel “mito”, dove tuttora meritoriamente continua a vivere.