Trame di Cinema da Oscar
Quando il cinema italiano era ammirato e amato dai pubblici di tutto il mondo per la complessità del suo sistema produttivo e non solo per l’episodica conquista di un Oscar (di cui gioiamo comunque), anche i costumi di scena erano capolavori destinati a restare indimenticabili.
Ci sembra più che opportuna, dunque, la proposta di un viaggio nel mondo della celluloide attraverso i capi creati per i nostri più grandi registi: da Pier Paolo Pasolini a Franco Zeffirelli, da Sergio Citti a Alberto Lattuada, da Roberto Faenza a Federico Fellini. Infatti sino al 22 Giugno a Villa Manin di Passariano (Codroipo, Udine) è in corso la mostra “Trame di cinema”, in cui è possibile ammirare modelli straordinari come la marsina indossata da Donald Sutherland per Il Casanova di Fellini o la giacchetta di Totò in Uccellacci e uccellini – in totale 18 pellicole capolavoro del grande schermo – dietro cui si cela il talento virtuosistico del mantovano Danilo Donati (1926-2001), candidato per 5 volte e per 2 volte vincitore della prestigiosa statuetta dell’Academy per i costumi, realizzati materialmente dalla storica sartoria di Piero Farani a Roma (fondata alla fine degli anni ’50 e oggi diretta da Luigi Piccolo).
Scolpiti addosso ai personaggi come alter ego “sognanti”, i 111 abiti esposti in 18 sale di Villa Manin, restaurati e conservati accuratamente, sono ben documentati dai bozzetti preparatori disegnati dallo stesso costumista, oltre che dalle immagini del regista Tommaso Lessio che ha illustrato il lavoro quotidiano all’interno dell’atelier Farani.
Il percorso museale – curato da Patrizio De Mattio e Fabiola Molinaro – è integrato altresì da un corposo materiale iconografico con ingrandimenti delle foto scattate sui set, nonché con la proiezione di sequenze di film, interviste con i registi e con Danilo Donati medesimo, tutte testimonianze provenienti dal fondo conservato dagli eredi, dagli archivi di Cinemazero di Pordenone, dal Fondo Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna, dalla Fondazione Federico Fellini di Rimini, dal Fondo Gideon Bachmann e dalle Teche Rai. Molto suggestivo, in particolare, risulta essere l’ascolto – in sottofondo – delle voci dei registi, delle colonne sonore e di alcuni testi, che accompagnano il visitatore ammaliato in una sorta di Cinecittà anni ’60-’70 (documenti selezionati da Andrea Crozzoli).
I film che costituiscono il filo conduttore di questa avventura sono capolavori di Fellini come Satyricon (1969), I Clowns (1970), Amarcord (1973) con l’abito della seducente Gradisca, Intervista (1987), Il Casanova (1976) che si aggiudicò l’Oscar nel 1977. Invece La mandragola (1965) di Alberto Lattuada è rappresentata dagli abiti indossati da Philippe Leroy (nomination all’Oscar del 1967), e La bisbetica domata (1967) di Franco Zeffirelli da quelli di Richard Burton (nomination al premio Oscar nel 1968), mentre Storie scellerate (1973) diretto da Citti, allievo e amico di Pasolini, è presente in mostra con fantasmagorici costumi carnevaleschi, assieme ai raffinati vestiti d’epoca di Marianna Ucria (1997) di Roberto Faenza (premio David di Donatello nel 1997).
Uno spazio speciale in mostra (l’intero piano terra della secentesca villa di campagna) è dedicato ai costumi realizzati nell’ambito del sodalizio di Danilo Donati con Pier Paolo Pasolini iniziato nel 1963 con La ricotta. Dal tenero giubbetto di lana di Totò in Uccellacci e uccellini (1966) agli abiti dei sacerdoti, dei magi e degli apostoli de Il Vangelo secondo Matteo (1964), per i quali la fonte d’ispirazione fu addirittura la pittura di Piero Della Francesca, agli abiti dei soldati protagonisti del sogno del martirio in Porcile (1969), a quelli “di arcaica bellezza” indossati da Silvana Mangano nel ruolo di Giocasta in Edipo re (1967). Il salone centrale della Villa è riservato alla cosiddetta “Trilogia della vita”: da Il Decameron (1971), ancora con la Mangano che qui interpretava la Madonna, a I racconti di Canterbury (1972) con il costume indossato dallo stesso Pasolini, a Il fiore delle mille e una notte (1974) girato in Marocco e Yemen, dove gli elmi, le lance, le tuniche e i mantelli di lana e ciniglia tessuti a mano rivelano la grande capacità inventiva del costumista-scenografo Donati. La mostra si chiude con i costumi del disperato Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).
Danilo Donati, scomparso nel 2001 all’età di 75 anni, mentre stava ancora lavorando ai costumi di scena del film di Roberto Benigni Pinocchio (2002), è stato un indubbio maestro del costume prestato alla Decima Musa: i suoi abiti hanno contribuito a raccontare trent’anni della miglior storia del nostro cinema e del nostro Paese tout court, quando la sartorialità era un’arte, ossia un valore morale e professionale, come appunto ci dimostra questa stupefacente mostra friulana. Concordiamo quindi col sovrintendente di Villa Manin Piero Colussi sul fatto che questo evento “non sfigurerebbe al Metropolitan di New York” e potrebbe essere esportato con successo ovunque (in effetti si parla già di Mosca).
La “grande bellezza” è soprattutto qui.