Una femminilità tutta nuova da Cristiano Burani
Nella imponente bellezza barocca di Palazzo Clerici, ricca di arazzi e affreschi meravigliosi, il disinvolto ed eclettico stilista ha fatto sfilare una collezione aperta a mille interpretazioni e a mille sfaccettature.
Un connubio perfetto tra consapevolezza di sé e determinazione nell’essere tale. Un misto di pezzi dall’aspetto decisamente sartoriale -da portare e da esibire con salda austerità- e di pezzi rilassatamente sportivi -da indossare e da vivere con serena freschezza-.
Una moda un po’ rigorosa, un po’ alternativa; un po’ “normcore”, un po’ filosofeggiante; un po’ bon-ton, un po’ lungimirante.
Una pulizia di linee -quasi architettoniche- davvero gradevole. E un desiderio sotteso di “ritorno alla fluidità”.
Molti colori chiari, molti disegni pacati.
Lunghezze garbate a imitazione di giovani e iconiche fanciulle che sognano “Vacanze romane”.
Pieghe rigide ma ugualmente ondeggianti quasi incitate da un appretto gentile a esplicarsi nel loro guidato ma morbido movimento.
Trasparenze così delicate da far dimenticare le volgarità che generalmente esse, se mal poste, evocano.
Sovrapposizioni così calibrate da creare quasi dei “trompe l’oeil” dalle misteriose prospettive.
Pseudo/costumi profilati -come quelli visti a volte in certi film di Visconti- portati con lunghissime camicie bianche che toccano quasi terra dal sapore aristocratico ma anche sbarazzino.
Corpetti di varie fogge ma sempre ben strutturati.
Micro e macro quadretti in puro stile Vichy -forse per richiamare tranquille situazioni agresti e familiari- sulle camicie, sui pantaloni con coulisse o su quelli maschili, sulle scherzose salopette, sugli abiti/grembiule coi colli da educanda, sui bellissimi spolverini con cappuccio, sulle pantofole dalla punta accentuata e inusuale.
Lunghi gilet dall’aria trasformista, adattabili a tutto e a tutto intonati. Corti, medi, lunghi. Pronti a ricoprire ruoli diversi e a modificarsi all’occorrenza.
Una commistione infinita di dettagli e di tessuti. I grandi bottoni, le grandi impunture, le grandi zeppe.
Il canvas dal tratto vissuto avvicinato al poliuretano dall’aspetto cracklè -sfizioso come certe suppellettili rese “particolari” proprio da questa “particolare” lavorazione e che trovano la giusta collocazione ovunque le si ambienti-.
La pelle trattata come seta e spalmata con un finissaggio che la rende luminescente, accostata al tradizionalissimo raso.
Il lino giocato su ricami creati con maestria artigianale abbinato al cotone, re indiscusso dei tessuti estivi.
Accenni di colori naturali inframmezzati da pennellate di rosso cremisi, di giallo canarino, di blu tempesta, di tenero verde, di pallido rosa.
Il nero offerto con grazia.
Il bianco profuso con generosità.
Il grigio ematite nel mezzo.
Occhialini tondi tra il pop e il retrò, tra l’intellettualoide un filo “radical-chic” e il dandismo più sofisticato.
Adorabili le infradito immacolate, dall’incisivo plateau, originali e -perlomeno alla vista!- sorprendentemente comode.
Presenza di accurato buongusto dall’inizio alla fine, dal dettaglio all’outfit completo, dal bikini all’abito da sera.
E desiderio palese di un’estate da trascorrere in piena e piacevole libertà. Con un occhio ai suoi riti e alle sue atmosfere tradizionali, con l’altro alla gioia e all’incanto del rinnovarsi comunque ogni volta.