La moda bella e buona secondo Livia
Premiata alla vigilia della Fashion Week milanese con il “Chi è Chi Award 2014” come miglior testimonial femminile sul tema “Ideali ed etica: creare valore al di là del profitto”, la brava e bella Livia Firth Giuggioli frequenta da molto tempo il mondo della moda. Non solo in qualità di moglie del talentuoso attore Colin Firth (da cui ha avuto due figli), ma anche e soprattutto come professionista impegnata a promuovere un concetto di moda sostenibile, ecologica e responsabile, coinvolgendo stilisti di fama ed i più importanti gruppi del lusso, nonché il mondo del cinema ai massimi livelli (Livia è pure regista e produttrice di film).
Infatti, nel 2009 ha lanciato un’iniziativa chiamata Green Carpet Challenge chiamando in causa divi del grande schermo e designer sui tappeti rossi più famosi del mondo con l’intento di trasformare il concetto di “chi indossi” in “cosa indossi” ovvero spostare l’attenzione dall’abito e da chi l’ha creato alla storia che c’è dietro. Poi la Firth assieme a Yoox.com ha sviluppato il progetto Yooxigen per promuovere capi e accessori eco-friendly, proponendo brand ad alto contenuto artigianale e creativo come Beach Candy, Carmina Campus, Kayu, Charini, Henrieta Ludgate, Mich Dulce, Sunshine Cunningham, Paul Smith. Così il progetto Green Carpet Challenge è diventato in pochi anni un vero e proprio fashion brand noto e amato dal pubblico.
In effetti dal 2009, quando ha co-fondato col fratello Nicola Giuggioli l’azienda Eco-Age a Londra, di cui è direttrice creativa, ad oggi Livia dice di aver assistito a grandi progressi, quasi insperati: “All’inizio la gente mi diceva che era un bel progetto e mi dava una pacca sulla spalla. Poi aziende come Gucci, e più in generale il Gruppo Kering, e maison di alta gioielleria come Chopard si sono sedute con noi a tavolino per cercare di capire come poter partecipare attivamente a quella che, a conti fatti, è una delle rivoluzioni più significative degli ultimi anni. E poi ho trovato grandi alleati in questa battaglia. Tra loro c’è sicuramente Stella McCartney: la prima collezione completa a marchio Green Carpet Challenge realizzata insieme a Stella è appena stata presentata alla London Fashion Week con un evento al quale ha partecipato anche Anna Wintour”.
Nata a Roma e trasferitasi nella capitale britannica per lavoro e per amore (ma torna spesso e volentieri in Italia col marito affascinato dal nostro Paese), Lady Firth è convinta che “la sostenibilità non è una moda, è un modo di agire. E il nostro obiettivo è trasmettere questo concetto alle persone e alle aziende: parliamo con loro, cerchiamo di capire cosa è possibile fare a livello di filiera produttiva, creiamo collezioni ad hoc. Cerchiamo di cambiare le cose, insomma”, ha dichiarato in una recente intervista, sottolineando come l’Italia abbia tutte le credenziali per incamminarsi lungo un sano percorso etico coltivando le eccellenze ed i valori alla base della sua tradizione: “Possiamo rilanciare il made in Italy con un valore aggiunto: l’etichetta che garantisce la sostenibilità dei prodotti”.
Non a caso nel 2013 le Nazioni Unite hanno assegnato a Livia Firth il Fashion 4 Development Award, importante riconoscimento tributato a chi sappia educare alla cittadinanza attiva attraverso una moda etica; in quella circostanza la Firth ha spiegato che glamour e etico sono due idee che possono convivere… e non solo nel guardaroba dei vip, ma in quello di ognuno di noi. Infatti ha mostrato con l’esempio che cosa si intende per moda sostenibile indossando capi della stilista Tory Burch in chiffon di seta biologica con perline riciclate, e poi un capo di Leila Hafzi acquistato a Milano, composto da un corpetto Tiana e da una gonna Sabina in seta sostenibile naturale non trattata: tutti tessuti tinti manualmente con metodi naturali in una fabbrica di Katmandu provvista di efficaci sistemi di riciclaggio dell’acqua e controllo dell’inquinamento. La sua indefessa attività in questo campo le ha fruttato, sempre nel 2013, un altro prestigioso premio come il Green Award in occasione del mega-evento Harper’s Bazaar Women of the Year Awards.
Oltre che all’impatto ambientale, Livia Firth è molto sensibile al tema della giustizia sociale, per cui apprezza che persino le catene del fast fashion abbiano abbracciato politiche eco, ma tiene a precisare che le materie impiegate devono essere rispettose non solo dell’ambiente, ma soprattutto delle persone che le producono, le quali sovente lavorano in condizioni terribili, inficiando così la “sostenibilità” di quei capi in apparenza “democratici”. “Comprare una maglietta che costa 15 euro non porta vantaggi a nessuno: né a chi la acquista, visto che la durata di questi prodotti è irrisoria, né a chi li produce. Credo che gli oltre 600 morti nel crollo del Rana Plaza in Bangladesh possano motivare questa affermazione meglio delle parole”.
Pertanto, la via da seguire è quella del buon senso e della moderazione nell’effettuare ogni tipo di acquisto. Come raccomanda lei, ogni volta che compriamo qualcosa dovremmo chiederci: “Lo metteremo almeno 30 volte?”. L’avvenire della moda dipende allora dalla capacità di aziende e consumatori di intraprendere un nuovo percorso all’insegna della sostenibilità; pensiamoci!