Lo specchio magico per vendere
La boutique di abbigliamento non è solo un spazio di vendita, ma anche – e sempre più in futuro – uno strumento di comunicazione. Quando può permetterselo, il consumatore vuole “immergersi” in un’esperienza di vita diversa, di ricerca e scoperta della griffe oggetto del desiderio. Questo modo innovativo di interpretare il negozio è definita retail-tainment ed è già oggetto di attenzione da parte di alcuni esperti di strategia e impresa come Francesca Romana Rinaldi della SDA Bocconi di Milano (Assistant Professor di Strategic and Entrepreneurial Management, che al tema ha dedicato un interessante articolo sull’edizione online di viasarfatti25.unibocconi.it).
Se invece il cliente non ha tempo da dedicare a questo genere di esperienza “full immersion” e quindi aspira ad un servizio celere e senza pecche, può semplicemente scegliere e provare il capo in negozio e poi farselo spedire a casa (effetto showrooming) oppure può decidere di acquistare online e ritirare in negozio per evitare inutili attese o solo per essere sicuro di trovare il prodotto cercato (o banalmente cercare in internet e poi acquistare in store: è stato coniato pure un acronimo al riguardo, ROPO, Research Online, Purchase Offline), oppure ancora acquistare online tramite il proprio smartphone direttamente in negozio. Di fatto la tecnologia può agevolare notevolmente il comportamento d’acquisto, come hanno ormai compreso molti marchi fashion, specialmente haut-de-gamme, che investono con crescente interesse nella personalizzazione del prodotto e dell’esperienza d’acquisto in boutique.
Quindi l’intrattenimento in negozio (retail-tainment) e la multi-canalità sono veramente le ultime frontiere della vendita di capi di moda di fascia alta ai consumatori finali. Seppur in ordine sparso, i brand stanno procedendo a passi da gigante in questo senso, proponendo vari atout con ampio dispiego di mezzi: personalizzare il tessuto per un abito con un semplice tocco, offrire suggerimenti di look con una sfilata virtuale in negozio o la possibilità di interazione con un virtual assistant… sono solo alcuni degli strumenti che le aziende di moda hanno cominciato ad utilizzare. Si prenda il caso di Burberry: nel negozio londinese di Regent Street uno specchio iper-tecnologico consente al cliente di provare virtualmente i capi, mentre gli addetti alle vendite sono provvisti di un iPad per mostrare il catalogo dei prodotti e per creare una scheda-cliente istantanea che va ad aggiungersi alle informazioni del customer relationship management (crm) con dettagli sui gusti del consumatore.
L’integrazione omni-canale è dunque il nuovo must e la tecnologia viene in aiuto anche in questo caso. In effetti, l’accurata indagine “Retail Reloaded: tecnologia, customer experience e store performance nel retail moda”, realizzata dal Knowledge Center Luxury & Fashion SDA Bocconi con il contributo di Retail Immersion, ha confermato che le aziende del settore moda sono sempre più consapevoli di quale sia la direzione da seguire, ovvero la gestione dell’esperienza con un approccio totalizzante.
Del resto, risponde ad una precisa strategia il fatto che numerose aziende, soprattutto all’estero, abbiano già creato dei ruoli professionali sino a poco fa inimmaginabili come l’Executive Director of Multichannel E-commerce (vedasi l’esempio del grande magazzino Marks & Spencer) o il Chief Omni-channel Officer (è il caso di Macy’s).
“La tecnologia nel retail moda può creare l’effetto wow, sorprendendo il consumatore con uno specchio magico o una vetrina animata, ma anche garantire l’offerta di un servizio integrato e multicanale” afferma la Professoressa Rinaldi della SDA Bocconi, che spiega: “Ad esempio tra le tecnologie invisibili, ovvero quelle non percepite dal consumatore, sta aumentando l’utilizzo del Rfid (Radio frequency identification) per il tracciamento dei comportamenti dei clienti e il movimento dei capi all’interno del negozio”.
Allora, in futuro la boutique di moda è sempre più destinata a diventare un ibrido tra virtuale e reale. Il percorso verso l’omni-canalità è sì necessario, ma non sufficiente per raggiungere il target, dovendo comunque fondarsi su una “visione” del business che presuppone un’organizzazione complessa e soprattutto idee brillanti sempre in cantiere. Inoltre si rivela tutt’altro che semplice operativamente, in quanto comporta la gestione dei conflitti di canale, l’integrazione dei sistemi di crm online e offline, il controllo dei contenuti e lo storytelling del brand attraverso i differenti canali, per garantire la massima coerenza del brand attraverso i vari punti di contatto con il consumatore.
Tuttavia, conclude la Prof.ssa Rinaldi, “se diverse sono le criticità da affrontare, queste passano in secondo piano rispetto alla possibilità di coinvolgere il consumatore in un’esperienza immersiva di continua riscoperta del brand”.