Inimitabile Tamara
Tamara de Lempicka, acclamata pittrice, regina della mondanità parigina nei folli anni ’20, è la protagonista di una grande mostra “a tinte forti” ospitata a Palazzo Chiablese a Torino, dal 19 Marzo al 30 Agosto 2015, curata da Gioia Mori e promossa dal Comune, insieme a Gruppo 24Ore e Arthemisia Group. A prescindere dalla portata artistica della Lempicka, ciò che qui ci preme sottolineare è il suo rapporto stretto con la moda; in effetti, il suo vero esordio nel rutilante mondo parigino del Déco ebbe luogo su due prestigiose riviste di haute couture: l’Illustration des Modes e Femina, dove pubblicò alcuni disegni di affascinanti cappelli. Era il 1921.
Nei suoi stessi quadri la moda è protagonista, cosicché molti degli abiti raffigurati non sono che la mera riproduzione di modelli contemporanei, a cui lei si ispirò audacemente per attualizzare e caricare di espressività uno schema compositivo di solito tratto dall’arte classica. Ecco, allora, che sulle sue tele si materializzano le creazioni di Madeleine Vionnet, Marcel Rochas, la Maison Blanche Lebouvier, Lucien Lelong, Coco Chanel.
I volti plasticamente perfetti, le posture signorili, quasi da manichino, gli accostamenti cromatici sofisticati, mirano a rappresentare l’eleganza ideale negli anni ’20 e ’30. La medesima Lempicka era sempre impeccabile nel look, un’autentica cultrice dell’alta sartoria, ossessionata dal mito della raffinatezza. Non a caso, un articolo giornalistico uscito all’inizio degli anni ’40 negli Stati Uniti la descriveva come “Best-dressed in Paris”, riconosciuta come la massima esponente del dandismo femminile del tempo.
Era l’epoca del Grande Gatsby, in cui l’immagine della donna andava assottigliandosi e raddrizzandosi, la vita e il seno venivano avvolti da tuniche tubolari, decorate da disegni geometrici e applicazioni garbate (in primis preziosi ricami), scolpite solo dalla cintura ed eventualmente da una sciarpa, mentre gli orli delle gonne risalivano sempre più dalla caviglia al polpaccio. La femminilità, sebbene “appiattita” dalla moda à la garçon, era tutt’altro che ambigua: le forme erano, anzi, sottolineate con drappeggi e tagli accurati che creavano motivi astratti. Importante divenne l’uso degli accessori, solitamente coordinati con l’abbigliamento (si andava dai cappelli asimmetrici ai foulard, dai gioielli ai bijoux), mentre il trucco del viso si evolveva verso un concetto estetico moderno.
Tamara de Lempicka (1898-1980), russa di nascita prima di diventare parigina e infine americana d’adozione, seppe costruirsi così una “vita inimitabile” (al pari del suo amico, forse amante, Gabriele D’Annunzio) anche nella moda, oltre che nella vita e nell’arte, diventando un emblema del glamour, della bellezza, dell’eccentricità nel gran mondo internazionale.
Dai suoi impressionanti dipinti emerge uno stile tipicamente Déco, fatto di algido purismo formale (desunto da Ingres), contaminato da echi metropolitani tradotti in stimoli innovativi con luci da set fotografico e tagli compositivi hollywoodiani, tinte brillanti come gemme, pulite, solide.
Il successo le arrise presto, al punto che già nel 1932 lo Stato francese acquistò per la Galleria del Jeu de Paume la Jeune fille en vert, che è anche il quadro simbolo della mostra torinese in corso a Palazzo Chiablese.
La rassegna, che ripercorre l’intera biografia della stravagante pittrice (di cui è prevista una seconda tappa a Budapest, Hungarian National Gallery, dal 7 Ottobre al 31 Gennaio p.v.), presenta circa 100 opere, suddivise in 7 sezioni (i mondi di Tamara fra nature morte, la bella figlia, visi e figure, nudi, devozione, moda), a cominciare da quella che rende omaggio al più genuino talento ritrattistico della cosmopolita artista (formidabili i ritratti della figlia Kizette).
Ci colpisce soprattutto – per l’apparente “anomalia” del genere religioso rapportato ad una personalità trasgressiva come quella della Lempicka – la sua pittura devozionale, che rivela una dimensione intima, in cui il confine tra sacro e profano è tenue, ma nondimeno esprime una spiritualità e una riflessione su temi e misteri dell’esistenza, in indubbio contrasto con l’immagine ammaliante che si ha della pittrice. I suoi Santi, Madonne, mendicanti, spesso rappresentati come frutto di una visione mistica, ci raccontano la Tamara più segreta – e per questo più vera – quella che di nascosto (come si è appreso poi) si prodigava in silenzio per tante cause benefiche.
Merita di essere segnalato, infine, che nell’ultima sezione della mostra (quella che racconta il continuo rapporto della pittrice con il mondo della moda), oltre alle sue illustrazioni per riviste, si possono ammirare disegni, dipinti e fotografie della stessa Lempicka scattate dai massimi fotografi di moda nel periodo 1930-1950, da M.me d’Ora a Joffé a Maywald; inoltre, due rari filmati degli anni ‘30 fanno rivivere l’artista negli spazi espositivi. Tutto sommato, la sua “cultura dell’apparenza” è ben riassunta a Torino da una “vetrina del lusso” anni ’30: un tripudio di cappelli firmati Descat, Schiaparelli, altri stilisti, assieme a gioielli di Cartier, Van Cleef & Arpels, Mauboussin… e tutti gli accessori indispensabili per l’eleganza degli happy few di allora (e forse anche di oggi).