Aziende italiane fiduciose… e quelle della moda più di tutte!
Una recente indagine svolta da alcuni docenti di SDA Bocconi (Guia Pirotti, Nicola Misani e Paola Varacca Capello) ha portato alla prima elaborazione del “Business Index”, un interessante indicatore di sentiment delle aziende italiane, da cui emerge un cauto ottimismo, ovvero la convinzione che sia ancora possibile fare impresa in Italia, malgrado la situazione politica determini qualche perplessità per il futuro. Un approfondimento ad hoc per il settore moda ha prodotto risultati ancora più incoraggianti: benché la situazione permanga critica, gli operatori continuano a presidiare egregiamente stile, creatività e qualità.
Scendendo più in dettaglio nella costruzione dell’indice, va puntualizzato che esso è stato rilevato in base alle risposte ad un breve questionario sottoposto ad oltre 600 imprenditori e manager, volto a mappare e misurare il loro grado di fiducia sia nel presente sia nei prossimi mesi. Le domande principali riguardavano la situazione competitiva, la propensione agli investimenti e la disponibilità ad assumere nuovo personale. Altri quesiti sondavano il contesto macro-economico e politico italiano. Il focus sulla moda, in quanto settore cruciale per il Made in Italy, è stato realizzato con il contributo dell’associazione Sistema Moda Italia (SMI).
Il sentiment, misurato da Ottobre a Dicembre 2014 con proiezione nei primi mesi del 2015, è stato rilevato tramite un indicatore che può assumere valori compresi tra 0 (totale pessimismo) e 200 (completo ottimismo), mentre 100 rappresenta la soglia di fiducia ideale. Allora in Italia c’è ancora spazio per un cauto ottimismo da parte delle aziende, se è vero che il valore dell’indice è risultato pari a 103,83.
Il dato che fa ben sperare è quello per cui il 66% degli operatori dichiara che fare impresa in Italia è ancora possibile. Il 71% del campione non ha intenzione di delocalizzare le sue attività all’estero, come del resto dimostra chiaramente l’intensificarsi del reshoring (rimpatrio del business). Il timore maggiore (60% del campione intervistato) deriva dal macro-ambiente e da una situazione politica vissuta come fonte di incertezza piuttosto che come occasione per la soluzione di problemi concreti.
Le piccole/medie imprese (meno di 250 dipendenti) registrano un sentiment più alto, pari a 106,76 contro il 100,89 delle imprese più grandi, a conferma della loro superiore flessibilità e capacità di reazione in un contesto ostico. Il che è evidenziato altresì da una maggiore propensione delle PMI ad investimenti (127,36, contro 114,47 delle grandi imprese) e a nuove assunzioni (105,97 contro 94,65). Inoltre il 67,5% delle imprese di minori dimensioni dichiara che è ancora possibile fare business con successo in Italia (contro il 64,9% delle imprese maggiori) e solo il 20,1% progetta di portare la produzione all’estero (37,5% per i big). A livello organizzativo gli imprenditori sono più ottimisti (113,65) rispetto ai dirigenti (102,21).
Se poi si guarda alla scomposizione settoriale, il sentiment è più alto nei servizi (110,78) che nel manifatturiero (100,54), nonostante la più sensibile dipendenza delle aziende dei servizi dalla domanda interna. Un’analisi ancora più dettagliata indica che le utilities registrano il massimo sentiment (122,86), seguite dagli altri servizi (112,37), dal settore automobilistico e dall’industria pesante in genere (105,89). Lievemente sopra il 100 anche il valore delle costruzioni (101,69). L’indice è sotto quota 100 per tutti gli altri comparti manifatturieri, nonché per le aziende del settore pubblico o non-profit (94,23), le banche e i servizi finanziari (92,42).
Come accennato, molto interessante è la prospettiva delle aziende fashion (tessile-abbigliamento, scarpe e pelletteria, accessori), le quali registrano un sentiment pari a 100,37 rivelando comunque sensazioni molto negative sulla domanda interna. Migliore, ma non entusiasta, il giudizio sulla domanda dall’estero. Le risposte rivelano, inoltre, che le aziende del Sistema Moda ritengono di saper gestire con successo i valori tradizionali dello stile, della creatività e della qualità (sentiment di 119,51), mentre ammettono debolezze nei sistemi manageriali (53,01) e nella disponibilità di manodopera qualificata (55,28). Fra le richieste nei confronti dello Stato, quelle più diffuse sono l’abbassamento delle tasse (indicate fra le due priorità dal 62,3% delle aziende), la lotta alla contraffazione (36,5%), lo snellimento della burocrazia (31,7%), mentre è considerato poco importante il sostegno pubblico alle esportazioni (8,4%).
Fra le strategie di crescita, le imprese della moda prediligono la crescita organica (indicata dal 49,3% del campione) e le alleanze (44,4%), che minimizzano il rischio di perdita del controllo della proprietà. Emerge una certa resistenza, invece, verso ogni ipotesi di vendita a grandi gruppi (15,3%) e la quotazione in Borsa (20,8%). Tra i temi strategici emergenti, infine, si nota una forte attenzione verso l’e-commerce e la gestione del prodotto.