A spasso nei ruggenti anni ’20: tra Coco Chanel e Flapper Girls
Siamo nei primi anni venti del secolo scorso, con ancora gli orrori della guerra aggrappati negli occhi; c’è brama di stendere una patina di oblio sullo scempio vissuto, desiderio di dimenticare, acuire i sensi, iniettarsi di vita e rinascere al mondo. Grandi cambiamenti socio politici sono in atto: la borsa è in crescita, l’economia gaudiosa, nuove idee brulicano le menti e profumano l’aria di entusiasmo. Tutto ha odore di nuovo e sa di buono.
Le donne hanno ottenuto in molte regioni del mondo il diritto di voto; ed hanno assunto o dovuto assumere, -per esigenze del fronte di guerra- ruoli lavorativi fino ad allora ad esclusivo appannaggio degli uomini. Sono diventate pratiche, economicamente indipendenti, e dispongono autonomamente del loro danaro. L’ esigenza o il desiderio di lavorare e di avere uno stile di vita dinamico, induce la moda ad adeguarsi alla nuova realtà: inventerà capi che lasciano liberi i movimenti e conferiscano naturalezza al corpo; nella modalità più fashion,”anticonformisti”, talvolta con un accenno di trasgressività, sicuramente luxury.
Deauville 1914, una giovane e intuitiva modista parigina asseconda l’onda del mutamento e apre la sua prima boutique confezionando cappelli e “moderni” abiti per signora. La ragazza si chiama Coco Chanel, un’anticonformista della couture femminile, tanto che, disertando definitivamente il corsetto (condanna storica d’inettitudine al corpo femminile) -per altro già messo al bando da Poiret e sostituito con i primordi del reggiseno-, concederà alla donna di liberarsi dall’altrui ausilio per doversi vestire. Audace e pratica accorcerà gli orli delle gonne e introdurrà l’utilizzo del jersey, tessuto povero ma confortevole, sino ad allora usato solo per gli indumenti delle classi popolari o per la biancheria intima. Le linee sono dritte, la vita bassa poggia sul secondo fianco, gli abiti o le gonne fanno pendant con giacche corte o a tre quarti portate aperte, e avvolgenti piccole cloche completano l’insieme.
Mentre la moda quotidiana è molto semplice, la notte, (appannaggio dei giovani benestanti) un tripudio di sfarzosità invade e rapisce la scena, dissolvendosi nel giorno tra jazz club, feste private, e residenze alla moda. In questo contesto culturale emerge una nuova figura femminile: la “Flapper Girl”. -Flapper- è un termine slang, che vuol dire: “giovane donna appena uscita dall’adolescenza, alla stregua di un uccellino che ha appena iniziato a volare”. Emancipata, sovversiva e irriverente -questa signorina- guida auto da corsa, fuma in pubblico, beve alcolici, tratta di argomenti tipicamente maschili, e tira fino a tarda notte nei locali alla moda dimenandosi a ritmo di charleston, bunny hug e black bottom.
Zelda Sayre Fitzgerald, moglie di Francis Scott Fitzgerald a sua volta scrittrice pubblicista e Louise Brooks, attrice protagonista femminile, tra gli altri, del film “Il vaso di pandora”, ne sono due celebri esempi; emblematico è anche l’iconico autoritratto di Tamara de Lempicka –Tamara in the green Bugatti (1929)– raffigurante se stessa alla guida dell’automobile da corsa in guanti e cloche in pelle di Hermès.
Il gusto flapper, profondamente influenzato dalla moda francese di Coco Chanel, a sua volta persuaderà, in forma sofisticata, lo stile delle più conservatrici donne borghesi. Per la sera, gli abiti, -celati da sontuosi soprabiti in velluto o broccato-, sono confezionati in tessuti leggeri interamente ricamati da perline o jais, hanno forme tubolari senza maniche e ampie scollature sulla schiena. Gli orli, al ginocchio, sono dritti o asimmetrici. Tutto è scintillante, festoso, brillante, alla stregua di un lampadario di cristallo che con i suoi pendagli riflette luce in uno strabiliante gioco multicolore. Il corpo è androgino, adolescenziale, le forme bandite e contenute in fasce, le gambe lunghe e flessuose.
Le calze, in seta, si portano arrotolate sopra al ginocchio e vengono trattenute da catenine al posto di tradizionali giarrettiere. Ai piedi scarpine Mary Jane con tacco a rocchetto e cinturino al collo dell’arto, agevolano i più sfrenati charleston. Cuffie guarnite di perline o piume adornano il capo incorniciato a sua volta da uno sfrontato caschetto “bob” o “wewe” (ad onde perfettamente definite). Al collo vezzi di gioielli art decò in perle vetro o malachite (più giri di una stessa collana o collane diverse mischiate tra loro) conferiscono quel certo “non so che”, mentre spille, orecchini, anelli e i pettinini tra i capelli, rendono le mise ricche e vezzose.
Nel 1929, il celebre giovedì nero del 24 ottobre, il crollo della borsa di Wall Street, spazzerà via come il gelido vento di una ruvida notte questo periodo di fasto e prosperità; trascinando il mondo in una crisi spaventosa e aprendo il varco ad un nuovo capitolo di storia, marchiato da penuria e austerità.