Nella collezione A/I 2016-17 di Vivetta impera l’Art Déco
Nel backstage della sfilata di Vivetta per l’Autunno/Inverno 2016-17, questa giovane donna bionda dall’aria pulita -vestita di un abito blu con collo alla marinara- ci dice che tutto è partito da un libro.
Un libro sull”Art Déco dove, a colpirla e a influenzarla, sono state principalmente le raffigurazioni di Erté -al secolo Romain de Tirtoff-, uno dei maggiori esponenti del Déco, attivo soprattutto a Parigi tra gli anni ’20 e ’30.
Illustratore, pittore e scenografo, famoso per le sue esili ed eleganti figure apparse sulle copertine di Harper’s Bazaar e per i costumi opulenti studiati per il ballet e il teatro, ha lasciato tracce feconde di cui tener conto per dar vita ad altro.
Così, affascinata da quelle silhouette tanto femminili e aeree e da quei caratteristici occhi blu incastonati nei visi minuti, ecco sorgere in Vivetta l’idea per la sua attuale collezione.
Una ventata di tenera dolcezza nella magistrale Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale, una carrellata di colori e di volumi che, visti in successione veloce e dinamica, ci hanno evocato un grande bouquet. Profumo di prato, dunque. E di -per dirla con gergo nuovissimo- “petalosa” freschezza.
Tanti fiori, tantissimi. Gli abiti stessi, a simularli. I ricami abbondantemente posti, a sottolinearli. I rimandi ai figli -dei fiori- degli anni ’70, a ricordarli.
Forse per riempire l’inverno che verrà di toni più gioiosi, visto che, come ci racconta una nota canzone di Lucio Battisti, “Un fiore in bocca può servire sai, più allegro tutto sembra”. O forse perché l’impenetrabilità del mistero nel loro “imperterrito” nascere -a volte nelle condizioni più avverse- rassicura e conforta.
Innumerevoli i temi legati al Giappone -indubbiamente amati dal designer russo e attinti a piene mani dalla nostra stilista-. Le lane morbide delle giacche e dei cappotti ne portano evidente impronta (ramoscelli, colibrì, fronde fiorite) e le allacciature a vestaglia rammentano quelle maestose in raso tipiche degli anni venti.
Abbondante anche l’uso degli alamari -mutuati dalle stampe dello stesso Erté in certe sue illustrazioni a sfondo militare- sui mantelli, sugli abiti, persino sulle camicie.
Accuratezza massima nella ricerca dei dettagli, dove la fantasia trova sempre il nodo focale per dare tono al tutto.
Nastri, fiocchi, applicazioni a gogó. Fiaba e rigore, sogno e realtà, poesia e tecnica.
Le lunghezze si divertono a mutare, sfiorando spesso il malleolo.
Le stampe, simili ad accattivanti trompe-l’oeil, rubano gli occhi senza ferirli.
I tessuti -quanto si deve essere sbizzarrita a mescolarli!- spaziano dall’organza al cady di seta, dal cotone pesante all’impalpabile tulle, dal velluto al ruvido panno.
I colori più vari condiscono il caleidoscopio insieme, passando dai rosa bambola agli azzurri Erté (quelli dei cieli limpidissimi di certe giornate rare), dai caramello ai rossi porpora, dai verde bosco ai neri della notte.
L’uscita finale, con tutte le fanciulle schierate e sintonizzate sul medesimo passo, assomiglia a un quadro impressionista -di quelli che tutti vorremmo appendere a una parete di casa nostra- o a un libro “pop up” da sfogliare per trarne incanto e bellezza.