Donne che tramano
Le donne creano, progettano, sperimentano, rischiano, sfidano. In una parola, le donne tramano, e lo fanno alla lettera, vere maestre delle arti del filo da Penelope in poi. Ha preso spunto da questa suggestione l’intrigante mostra “W. Women in Italian Design” ospitata alla Triennale di Milano dal 2 Aprile al 12 Settembre, a cura di Silvana Annicchiarico e con allestimento di Margherita Palli.
In effetti, nell’attività tessile si annida da millenni l’essenza stessa delle donne: la loro solerzia, dedizione, pazienza, perseveranza, destrezza. Ma soprattutto la loro passione.
Chi ha organizzato l’originale evento sembra aver sposato, in un certo senso, la teoria dell’architetto tedesco Gottfried Semper il quale a metà Ottocento aveva intuito che l’architettura nasce dall’arte tessile, essendo state le donne a suddividere lo spazio domestico con graticci intessuti di foglie o palme, inventando così il concetto di decorazione, che poi avrebbe ispirato ai loro uomini le idee di bellezza, spiritualità, sentimento, fantasia. Diciamo pure poesia.
Un tema così caratterizzato come quello del “design filato dalle donne” è declinato da questa speciale rassegna attraverso opere di alto impatto metaforico – disposte in ordine cronologico per narrare la storia in modo dinamico – quali la “Tenda” di Carla Accardi (fine anni ’60), i merletti e ricami della bolognese Aemilia Ars, i libri di stoffa di Marisa Bronzini e Franca Sonnino, lavori contemporanei di Marika Baldoni e Paola Anziché, Lucia Biagi (è quasi commovente la sua “Olivetti Lettera 32” tricottata), Genny Iorio (“artigiana/artista dei capelli”), Maria Lai (irresistibilmente affascinata dai telai), Benedetta Mori Ubaldini (fili metallici), Elisabetta Di Maggio e Sabrina Mezzaqui (carta).
“W. Women in Italian Design”, cercando di definire una nuova storia del design italiano al femminile – mediante figure e tendenze progettuali seminate nel XX secolo e poi affermatesi, trasformatesi ed evolutesi nel XXI secolo -, in sostanza tenta di indicare che cosa diventerà il design nell’era post-design. E lo fa astenendosi dal dare una risposta univoca, ma come una Sibilla Cumana offrendo input, stimoli alla discussione, messaggi da “cucire” insieme.
In effetti ogni anno il Triennale Design Museum (giunto alla nona edizione) racconta la creatività italiana mediante un sistema di rappresentazioni che cambiano tematiche, ordinamenti scientifici e allestimenti, per dispensare punti di vista e percorsi inediti su tale disciplina. La mostra sul design femminile scelta nel 2016 lambisce anche la questione del gender, senza tuttavia affrontarla (e forse è giusto che sia così, riconoscendo che prima di tutto è necessario ragionare sulla grande rimozione operata dal secolo scorso nei confronti delle donne). Di fatto, mentre il nuovo millennio sembra più incline a valorizzare la progettualità miliebre, il Novecento l’aveva posta ai margini, celebrando solo a parole la donna come soggetto inventivo di un design meno autoritario e apodittico, più spontaneo e dinamico.
Plaudiamo infine al ritorno, dopo vent’anni, della grande esposizione internazionale della Triennale di Milano – dal titolo “XXI Century. Design After Design”-, che propone un amplissimo calendario di eventi diffusi in tutta la città (Fabbrica del Vapore, Pirelli HangarBicocca, campus di Politecnico e IULM, MUDEC, Museo della Scienza e della Tecnologia, Museo Diocesano, BASE, Palazzo della Permanente, Area Expo, Villa Reale di Monza), dove la mostra “W. Women in Italian Design” è una delle tante iniziative in programma. Una rassegna che con i suoi molteplici fili lascerà inevitabilmente il segno…
…così come “è necessario che una donna lasci un segno di sé, della propria anima…” (Alda Merini).