Brunello Cucinelli alla Masone di F.M. Ricci: una”Lectio” difficile da dimenticare
Parole che, come carezze, ognuno di noi ha “bisogno” di ricevere. Per credere che la possibilità di “rinascita” è realizzabile. E non un’utopia.
Le usa con volitiva grazia, Brunello Cucinelli, davanti a una platea incantata da quel che sente.
Siamo arrivati in tanti a Fontanellato, nella sala conferenze del labirinto voluto da Franco Maria Ricci e inaugurato a maggio 2015 -giusto un anno fa- per assistere all’ultimo incontro del ciclo -dal titolo UTOPIE– improntato sulla testimonianza di alcuni grandi imprenditori italiani che della cura e della valorizzazione del territorio in cui operano hanno fatto il centro del loro “modus vivendi”.
Una cornice meravigliosa -diremmo unica- ad accoglierci.
La campagna emiliana, nel pieno della primavera, coi prati stracolmi di papaveri e le siepi traboccanti di rose, coi leprotti che corrono tra l’erba, coi fagiani liberi di mostrare i loro buffi saltelli.
Le case rurali sparse e colorate da cui si diffondono profumi invitanti, i trattori moderni che conservano sempre la loro antica imponenza, il silenzio dei sentieri rimasti intatti nel loro svolgersi sinuoso.
E, improvvisamente, la sagoma immensa del Labirinto -il più grande al mondo, come aveva promesso Ricci allo scrittore Jorge Luis Borges nel 1977-, i suoi bambù svettanti, la sua cappella al centro, il museo ricco di meraviglie, la zona ristoro, l’aura perfetta.
Ci si scontra già con la bellezza -“promessa di felicità”, secondo Stendhal- prima di entrarvi e incontrarne dell’altra.
È sorridente, Brunello. E gentile. Reca con sé la certezza di avere dentro “guide” sicure: la sua terra, la filosofia, l’amore per i suoi maestri classici -che cita in abbondanza e con devoto rispetto (Adriano, Platone, San Benedetto….)-, la passione per l’umanità, l’affettuosa complicità con chi lavora con e per lui………..
Sciorina frasi e pensieri che paiono sorti per far nascere riflessioni, per far ritrovare fili che parevano sfilacciati, per far rimettere in moto sentimenti un poco sopiti, per trasmettere “buone notizie”.
C’è una tale forza e una tale naturalezza nel suo modo di esprimersi che risulta impossibile non dargli atto.
Racconta la sua infanzia -felice- trascorsa in ambito contadino; rammenta la saggezza del suo nonno, le massime del suo “babbo”, l’amore, senza mai un litigio, tra i suoi genitori; sottolinea l’esperienza del bar di paese -vera fucina di legami trasversali indimenticabili e formativi-; esalta -e non si stanca di ripeterlo- l’importanza delle relazioni, della cultura -collante universale-, delle strette di mano, del “Genius loci”, del volersi bene.
Proclama la necessità di dare spazio al tempo, dignità al lavoro, valore alla famiglia; ribadisce la volontà di rendere il Borgo di Solomeo– sede della sua sempre più fiorente azienda, produttrice di capi seducenti e desiderabili- ancor più legato a una dimensione umanistica e autentica,
“Custodia”, il motto che ricorre maggiormente nel suo discorrere. Insieme a “cura” e a “conservazione”.
Ma anche “fatica” -senza la quale “non si arriva da nessuna parte”- e “responsabilità” -senza la quale “non si può cominciare nulla”-.
Un appello continuo e “martellante” ad abbandonare l’individualismo e a provare -ognuno a suo modo- a mettere piccoli tasselli di bontà che rendano fruttuoso il lavoro di tutti.
Si intuisce una fedeltà alla bellezza che parte da un’interiorità rara; si immagina una propensione all’armonia che proviene da una positività reale; si intravvede una genialità che deriva da un senso innato di stupore verso il mondo.
Sempre in moto, sempre in divenire. Instancabilmente perbene.
Chiede un confronto con gli astanti, verso la fine, ma si ha più voglia di ascoltare la sua enfasi così travolgente e spontanea che di sottoporlo a domande ridondanti o magari impertinenti.
Si alza una figura maschile e, impugnando il microfono, dice che il segreto di Brunello è quello di aver trovato il perfetto equilibrio tra etica ed estetica, tra forma e sostanza, tra sogno e realtà.
Sì, conferma il “nostro” custode (“custode”, si badi bene, non “proprietario” -proprietario, ci rammenta, è colui che teme di perdere le cose senza peraltro averle troppo a cuore mentre è l’averne cura senza il timore di distaccarsene che le rende amabili e preziose!-).
Sì, aggiunge per concludere: “occorre ritrovare la quiete, zittire il caos che, generato dall’incertezza e dalla velocità, non ci permette più di prestare orecchio alle idee, a quelle intuizioni che, se partono dalla mente e passano per l’anima, non possono che essere buone”.
Un attimo di incredibile silenzio -quasi a voler tenere in vita e a non sciupare la magia creatasi-, poi un applauso fragoroso e liberatorio a rivelare, non senza un filo di commozione nettamente visibile su alcuni volti, tutta la stima a lui dovuta.