Gli anni 40’: la moda razionata
Il secondo conflitto mondiale recò con sé in una violenta recessione che lasciava ben poco spazio alle frivolezze della moda. Essa assunse un carattere pratico, modesto e contenuto, anche a causa del razionamento delle stoffe imposto dai governi alle Maison; disposizione che significò la consegna di una tesserina che definiva la quantità massima di tessuto fruibile da ciascuna casa di moda. La necessità di risparmiare stoffa fece si che gli orli delle gonne si accorciassero, che i modelli consentiti fossero,talvolta lievemente svasati, raramente a pieghe, abitualmente dritti.
In America fu’ espressamente vietato il modello ad “A” e di contro obbligatorio quello a matita. L’ente per la Produzione Bellica U.S.A. emise l’ordine di limitazione generale e definì la produzione dell’abbigliamento nei minimi dettagli, sottolineando l’importanza di evitare sprechi.
L’emblema di questa drammatica epoca fu uno stile austero, dal piglio militare quasi a voler imitare le divise militari e solidarizzare con gli uomini al fronte. Una moda misera, fatta di gonne sormontate da camicette e giacche con spalle strutturate, dal punto vita segnato (vezzo possibile, perché totalmente economico), ma arricchite da una serie di pratiche tasche. In Gran Bretagna non ne concessero più di tre, e il guardaroba delle donne inglesi doveva essere costituito da un solo tailleur, una sola giacca e una sola blusa, il tutto di buona qualità per durare più a lungo. Sempre in Inghilterra fu’ dato ordine espresso di realizzare prototipi di modelli di abiti da signora di tipo funzionale.
In Italia, ma anche in altri paesi europei, circolavano riviste di moda con indicazioni su come riciclare i tessuti. Dalle coperte nacquero capi spalla, dalle lenzuola camice, da un abito da sera si potevano ricavare ben dieci indumenti diversi. Si rimodernò, si riadattò, si reinterpretò, si inventò! Mancava la materia prima per le calze? la riga disegnata sulle gambe era una buona illusione ottica!
Da tutte queste restrizioni ne uscì salvo solo il copricapo; il tessuto usato per la sua confezione non fu’ infatti soggetto a razionamento. Così cappelli femminili ed estrosi turbanti rinfrancavano da un lato chi li indossava, e dall’altro rinvigorirono l’estro dei modisti. Non fu ovviamente così per gli abiti da gran sera che quasi scomparvero di scena, sia per l’impossibilità di uscire, dovuta al coprifuoco, ma anche per la rarità dei tessuti preziosi pressoché introvabili. Una categoria di donne riuscì ancora a vestire sontuosamente: le attrici sul set. L’industria cinematografica ottenne deroghe al razionamento dei tessuti, racimolando per gli abiti delle dive quel poco di stoffe pregiate rimasto in circolazione.
Nacque in quest’epoca la consuetudine ad impiegare fibre sintetiche nelle confezioni, primo fra tutti il rayon, ma anche il nylon, brevettato da Du Pont nel 1937 con un apice di vendite altissimo nel 40’ e una successiva battuta d’arresto a causa della guerra, fino a dopo il 46’. In Italia impazzò il lanital, una fibra derivata dalla caseina, la proteina del latte, simile alla lana quanto a resa di calore ma poco resistente all’usura; poi il mohair, tratto dal pelo delle capre d’angora, e la viscosa.
Fu ovunque un’epoca di autarchia. Ad esempio, prima del conflitto gli americani acquistavano dai francesi i capi perché di pregio, a guerra in corso cominciarono a produrre in proprio sviluppando un’ indotto interno al paese. Nulla a che vedere con l’alta moda e … novità! Si iniziò a produrre in serie.
Le maison parigine finirono sul lastrico. La penuria di materie prime e la fuga della clientela si tradussero nella inutilità di presentare le collezioni. Parecchie furono costrette a chiudere, e le poche rimaste, si adattarono ad occuparsi del guardaroba delle donne degli alti gerarchi nazisti. I tedeschi tentarono di spostare il cuore della Haute Couture da Parigi a Berlino o a Vienna ma fallirono, e nonostante la grande depressione economica subito dopo la liberazione, nel 1944, la Ville Lumière si rimise al lavoro e tornò a consacrarsi come capitale mondiale della moda.
La moda rinacque con la nascita del New look di Cristian Dior che nel 1946 stravolse completamente gli schemi, proponendo una silhouette a clessidra -modellata sulle curve della donna ad esaltazione della femminilità che vuole tornare a piacere dopo i razionamenti e gli abiti di foggia militare-, fatta di vita strizzatissima, gonna svasata e spalle strutturate. Se durante la guerra il metraggio di tessuto da usare per un abito non doveva superare i tre metri, a guerra finita Dior fu capace di usare fino a 50 metri di stoffa per una mise!