In due è meglio: intervista ai designer del brand ARNOLDO][BATTOIS
Meglio essere in due che uno solo infatti, se uno dei due cade l’altro può rialzarlo, e se uno dei due perde fiducia l’altro può incoraggiarlo, e dove uno sguardo è distratto, l’altro è vigilante. Meglio essere in due che uno solo, perché in due, o meglio, in team, le intelligenze si sommano e poi moltiplicano i risultati.
E’ il lunedì successivo al defilé, ultimo appuntamento la sera prima, del calendario di AltaRoma edizione gennaio 2017. L’incontro è fissato alle 10 del mattino al LIFE Hotel di via Palermo, nella piccola caffetteria dalle pareti a vetri, sospesa a mo’ di terrazza sulla sala sottostante. Ci accomodiamo sulle tre poltroncine color caffè disposte attorno al tavolino con il ripiano in vetro fumé; alla mia destra Massimiliano, a sinistra Silvano. Nei loro volti dai tratti così diversi si percepisce una lieve stanchezza mista all’adrenalina che ancora hanno in circolo dopo mesi di lavoro.
Massimiliano (Battois) è vulcanico, ha occhi vivaci, quasi medianici; Silvano (Arnoldo), al contrario, è pacato e mite, ha un fare delicato e uno sguardo profondo, pieno di umanità. Nel loro modo di rapportarsi vicendevolmente si legge la storia di un’amicizia duratura e solida, di un sodalizio ben riuscito; un po’ come la pentola e il suo coperchio o come il letto e la sua coperta. Si sono conosciuti poco più che adolescenti e mai più lasciati, hanno fatto delle loro diversità il loro punto di approdo, un porto sicuro, una ricchezza più grande.
Avete un passato da Mila Schön e ben quattordici anni da Roberta di Camerino alle spalle. Cosa custodite di quegli anni?
“Da Mila Schön ho imparato il gusto per i tessuti, e ho capito cosa è la vera eleganza”- racconta Silvano-. Ricordo nitidamente la prima collezione alla quale lavorammo. Era tutta impostata su un rosa cipria polveroso e un verde salvia. C’erano queste lane doppie, questi cachemire così ovattati e questi turbanti dai colori pastello, un po’ speciali. Lei, la associo sempre alle Sorelle Fontana, con quella estrema purezza di linee, con la passione per il dettaglio, e quel gusto così raffinato e quelle architetture quasi alla Le Corbusier. I capi che confezionavamo erano di una pulizia assoluta, quasi sparivano le cuciture e si vedevano solo i tagli. Da Roberta di Camerino, ho imparato invece un estremo senso del colore. Era una donna piena di passione ed energia, con un forte gusto veneziano. Ricordo che una volta mi disse: “ non esistono colori non abbinabili, tutto dipende dalle tonalità, sono i toni che consentono di fondere assieme delle tinte diverse tra loro e apparentemente inconciliabili”. Ed è vero! A me oggi piace raccontare i colori come fossero delle ricette, perché ad esempio è banale definire il giallo semplicemente giallo: c’e del giallo con del grigio, del giallo con una punta di verde, del giallo con uno sprazzo di rosso, e così via. Da lei ho anche imparato a bilanciare l’uso dei materiali per gli accessori”.
“Dalla Di Camerino – aggiunge Massimiliano -, abbiamo poi ereditato una cosa molto importante: il senso della sfida. Abbiamo lavorato per lei molti anni e a moltissime collezioni, e in tutto questo tempo non ci è mai stato chiesto di disegnare l’accessorio più rappresentativo della maison: la borsa. Ebbene, quando abbiamo deciso di proporre una nostra collezione a “Who is on next”, nel 2010, abbiamo scelto di esordire proprio con l’ accessorio che non avevamo mai disegnato. E siamo entrati a far parte dell’ entourage dei finalisti”.
“Abbiamo imparato molto anche da una signora che si chiamava, Ileana Zara, era una competitor di Vito Nacci; negli anni 80’ è stata l’enfant terrible della pellicceria. Era una visionaria, quasi selvaggia, -racconta Silvano- molto diversa delle altre due; possedeva un istinto innato per la bellezza”.
“Talvolta le partiva “il picchio” e ci chiamava alla una di notte per andare a lavorare; finiva con l’andarci sempre Silvano perché io abitavo lontano e ai tempi non avevo mezzi per raggiungerla a Venezia. Poi lui è più paziente di me – racconta Massimiliano. Lavoravano anche fino alle tre, le quattro di notte, poi lo riaccompagnava a casa in macchina. Ileana era un genio. Riceveva, gratuitamente continui redazionali su Vogue. Da tutte queste donne, così distanti per epoche e cultura; così distinte, ma con in comune lo stesso mestiere, abbiamo imparato una cosa fondamentale: ci si può nutrire del proprio lavoro. Non esistono pause, non esistono colazioni, non esistono pranzi; questo lavoro è qualcosa che si innesta nella tua vita e in qualche modo ne scandisce i ritmi, è qualcosa che si amalgama con lei divenendone un tutt’uno”.
Come si dipana il processo di formazione di una collezione?
“Per prima cosa procediamo alla formulazione dell’ abstract –descrive Silvano-, una sorta di riassunto contenente tutte le matrici e le fonti di ispirazione. Poi definiamo il dna della collezione a vari livelli: le tipologie dei tessuti, i colori, la grafica, le stampe scelte come riferimento, le linee ipotizzate, i volumi, gli accessori e le borse. Da tutto questo nasce una sintesi -il moodboard-, una raccolta di immagini che è per noi una cartina di tornasole dove poter controllare in corso d’opera se ci siamo attenuti a quanto programmato. Segue uno schema delle tempistiche molto preciso e a ritroso rispetto alla data della sfilata; questo ci consente di lavorare con ordine e tranquillità. Poi finalmente, si inizia a disegnare la collezione. Dopo qualche tempo c’è una riunione nella quale ci si confronta, talvolta anche con fervore, ma sempre in maniera costruttiva, e a seguire, le vestizioni. Tutti i disegni vengono scansionati, e con dei programmi di Photoshop si fanno delle prove virtuali. Questo lavoro offre una visione d’insieme della collezione e ha lo scopo di valutare se ci sono elementi dissonanti ed eventualmente archiviarli.
Per ultimo si forma il carrello finale della sfilata con le uscite”.
Producete nella Riviera del Brenta; il vostro è un prodotto artigianale realizzato dai più qualificati laboratori manifatturieri.
“La nostra collezione ha un dna colto, informato, con alla base delle conoscenze derivanti da studi approfonditi. Contiene riferimenti a Balenciaga, alla Schiapparelli e ad altri couturier che molto amiamo.
Per la confezione dei capi spalla abbiamo un sarto straordinario, un signore specializzato nella lavorazione dei cappotti da uomo; ha ottant’ anni e moltissime primavere di esperienza alle spalle. La sua sfida più grande è appiattire tutte le cuciture, il capo, anche se pesante, deve apparire leggerissimo.
Per le stampe ci ispiriamo spesso alla nostra città; per alcune abbiamo tratto idee dal loggiato del Palazzo Ducale di piazza San Marco a Venezia; lo abbiamo scansionato, specchiato e deformato, poi abbiamo inserito del pizzo valencienne e lo abbiamo tradotto in segno grafico, un po’ come il tratto di una penna biro.
Anche la scelta di come tagliare una stoffa senza tranciarne il motivo della fantasia stampata è un lavoro delicatissimo per il quale è richiesta una grande precisione; in questi casi si consuma moltissimo tessuto, noi però non buttiamo mai via nulla, lo usiamo magari per realizzare dei piccoli accessori o gli interni delle borse, abbiamo un gran rispetto per le cose”.
La moda è una forma d’arte, l’arte, produce contaminazione. Quale messaggio celano le vostre creazioni?
“Vogliamo raccontare della cose nuove partendo dall’artigianalità italiana, dal nostro Paese, che è fonte inesauribile di bellezza, ricchezze e maestranze. Noi italiani siamo cresciuti nel bello, respiriamo il bello, lo viviamo quotidianamente.; anche se non hai fatto studi artistici, il bello lo hai nel dna. Crediamo profondamente che tutto ciò debba essere preservato, posto ben in evidenza e valorizzato. Restituiamo dignità alla nostra terra. Educhiamo la nostra gioventù al lavoro fatto a regola d’arte”.
Ad una conferenza sull’eleganza, il professor Stefano Zecchi , docente di estetica, scrittore e giornalista, ha affermato che non ci può essere stile se non c’è una cultura di base. Voi cosa mi dite?
“La cultura ti permette di fare varie operazioni; di bilanciare, di mediare, di creare degli equilibri, di strutturare. Ci può poi essere un attitudine innata allo stile: l’istinto, il genio, quella cosa connaturata che hai dentro selvaggia, quasi primitiva; ma è, quando istinto e conoscenza si incontrano, che nascono idee pressoché incontrovertibili. La sofisticazione racchiude in se la conoscenza –afferma Silvano- “.
Ci può essere eleganza laddove c’è povertà spirituale?
-Rispondono in coro-. “No.”
“Ci può esser eleganza laddove c’è povertà materiale, si può essere privi di mezzi, ma eleganti.
Ma non si può essere eleganti laddove c’è povertà spirituale, là, dove manca un credo, qualunque esso sia, e ciò anche se si è ricchi sfondati, perché senza, tutto perde senso, tutto perde di spessore, profondità “.
Come nasce la vostra liason?
“Ci siamo conosciuti all’università, studiavamo entrambi architettura e ci ha presentati un’amica comune ora moglie di mio cugino. Per entrambi è stata una grande opportunità, parlavamo un linguaggio comune e potevamo confrontarci. Io ero più improntato al prêt-à-porter -racconta Massimiliano -;Silvano invece, era tutta couture e vecchi film in bianco e nero; lo ammiravo, avrei voluto essere come lui, dal canto mio ho avuto una zia molto Glamour e sono cresciuto a pane e “Vogue” che sfoglio dall’età di cinque anni.”
“Un giorno, su iniziativa di Massimiliano,- racconta Silvano-, abbiamo deciso di inviare dei nostri disegni da Mila Schön; ci hanno assunti tutti e due subito. Ed ora eccoci qui!”.
In due è meglio. Perché?
“In realtà e in generale, è meglio in team; oggi è finita la fase dell’individualismo. Quando sei in team la tua idea viene scandagliata, soppesata, scardinata e ricostruita.
Quando si arriva dopo tanti confronti ad essere concordi, il frutto di quel lavoro difficilmente sarà demolito perché sono già state eliminate tutte le imperfezioni. Per sostenere un tuo progetto devi conoscerne tutte le falle. Devi anticiparle. Se ne conosci i punti deboli puoi essere un grande sostenitore del tuo progetto.”
Primo pensiero della mattina, prima di un defilé e ultimo pensiero della sera, dopo un defilé.
Massimiliano inizia dall’ultimo.“La speranza di avere delle conferme positive e di poter avere degli sviluppi. Di mattina moltissimi! ma sono sempre molto ottimista. Mi dico: andrà bene! Anche se con gli altri fingo il contrario!”
Silvano.“Il mio primo pensiero è l’ansia da prestazione, e la consapevolezza di avere una grande responsabilità nei confronti del progetto e delle persone che lavorano con me. Dentro di me so che andrà bene. La sera, mi domando: come posso io, migliorare il prossimo?”