Il futuro del bello ben fatto italiano: l’inimitabile valore del saper fare
“Ci sono due strade per aumentare la competitività dei settori agroalimentare, moda, gioielli e design” – ha spiegato la Vicepresidente di Confindustria per l’Internazionalizzazione Licia Mattioli – “e queste due strade sono: investire nella manifattura ad alto valore aggiunto e aumentare il numero degli esportatori”. L’occasione è stata un recente convegno organizzato da Confindustria al MUDEC (Museo delle Culture) di Milano, dove è stato presentato un interessante rapporto elaborato dal Centro Studi di Confindustria in collaborazione con Prometeia, intitolato “Esportare la Dolce Vita, il potenziale del bello e ben fatto italiano nei mercati avanzati”. Ne è emerso un dato sorprendente per positività: in sostanza da qui al 2022 l’export italiano di alta gamma nei 31 mercati presi in esame potrebbe aumentare di ben 12 miliardi di euro (che addirittura diventerebbero 18 se si considerasse uno scenario più ambizioso).
Mattioli ha inoltre puntualizzato: “Le imprese che hanno scommesso sull’on-line hanno visto crescere il fatturato, anche quello tradizionale, e secondo i dati dell’Osservatorio e-commerce B2C di Netcomm e del Politecnico di Milano, l’export di prodotti italiani a consumatori stranieri è cresciuto nel 2016 del 17% e supera i 3,5 miliardi di euro, dove il 78% è rappresentato da turismo e moda”. Dunque, sebbene la crescita sia “ancora troppo al di sotto rispetto al potenziale”, è in atto e rappresenta “un’altra sfida che dobbiamo affrontare nei prossimi anni mettendo la digitalizzazione tra le priorità della nostra agenda, perché si tratta di un’innovazione che deciderà il destino delle nostre imprese”.
Lo studio, in definitiva, conferma le grandi potenzialità di crescita dei prodotti cosiddetti BBF – Belli e Ben Fatti – nel prossimo quinquennio nei Paesi emergenti più dinamici. Tra i principali importatori di questi beni made in Italy, il più promettente sia per supporto delle policy sia per propensione al consumo nel lungo periodo è la Cina, ça va sans dire. Anche gli Emirati Arabi Uniti presentano ottime prospettive; d’altro canto Russia e Brasile, nonostante notevoli criticità, mantengono una buona propensione al consumo di BBF. Da non trascurare infine la Turchia, pur con tutte le sue incertezze e ambiguità politiche, che è assurta a snodo logistico cruciale soprattutto per la destinazione Russia, oltre che per il proprio mercato interno.
Va sottolineato che l’acquisto di BBF soddisfa i bisogni di qualità, sicurezza, moda, design, originalità della nuova classe benestante mondiale. I nostri prodotti sono apprezzati nel mondo, anche e soprattutto per quell’intangibile valore aggiunto di saper fare, creatività, capacità del territorio di cui siamo portatori. Di qui l’importanza per le aziende, specialmente medio-piccole, del “fare sistema”, dell’aggiornarsi continuamente, dell’aderire a progetti istituzionali che le aiutino ad emergere e promuoversi sui mercati, affinché possano cogliere tutte le opportunità su scala globale. Quello che le imprese chiedono, in pratica, non sono più contributi a pioggia, bensì azioni mirate e misurabili. Ha osservato Ivana Ciabatti Presidente di Federorafi: “Siamo ancora deboli sul fronte della capacità di comunicare al meglio le qualità dei nostri gioielli e l’unicità delle storie imprenditoriali, ma ci stiamo lavorando con un occhio di riguardo all’utilizzo dei nuovi social media. Allo stesso tempo, la capacità di innovare deve continuare a rappresentare un driver per le nostre imprese. Abbiamo cercato di enfatizzare questa leva che è coerente con il nostro progetto rivolto al coordinamento ed al rilancio delle scuole e degli istituti tecnici orafi. Dobbiamo saper raccordare le innovazioni tecnologiche e i fabbisogni professionali espressi dal mondo produttivo con gli obiettivi educativi della scuola per puntare sul talento e sulla qualità e quindi comunicarli e promuoverli perché il valore del saper fare è la ricchezza meno imitabile da parte dei concorrenti”.
Per la nostra moda le prospettive sembrano incoraggianti quindi, tanto più se pensiamo che è finalmente una realtà Confindustria Moda, la nuova Federazione della moda, tessile e accessorio, rappresentativa di oltre 67 mila imprese del Made in Italy, ovvero un business in grado di generare un fatturato di oltre 88 miliardi di euro e dare lavoro a più di 580 mila addetti. Si tratta dell’eccellenza della manifattura italiana, composta di aziende leader nei mercati internazionali, che nel 2016 hanno esportato il 62%. Presidente del nuovo organismo è stato eletto Claudio Marenzi, dal 2013 Presidente di SMI – Sistema Moda Italia, mentre Cirillo Marcolin, Presidente di FIAMP (Federazione Italiana dell’Accessorio Moda e Persona) e di ANFAO (Associazione Nazionale Fabbricanti Articoli Ottici), è il Vicepresidente. A tutte le imprese associate a SMI e FIAMP – quest’ultima aggregante entità come Federorafi (Federazione Nazionale Orafi Argentieri Gioiellieri Fabbricanti), AIMPES (Associazione Italiana Manifatturieri Pellettieri e Succedanei), AIP (Associazione Italiana Pellicceria), ANFAO, Assocalzaturifici – Confindustria Moda si impegna a fornire servizi trasversali di consulenza legale, gestione delle relazioni industriali e un ufficio studi.
Marenzi ha commentato tra l’altro: “Noi siamo l’eccellenza artigiana nell’immaginare, creare e far sognare i consumatori. Siamo anche uno dei settori trainanti del PIL italiano ed europeo, e ci prendiamo il posto che ci spetta in Italia e in Europa, continuando con più forza battaglie su temi come la lotta alla contraffazione, la distribuzione, i rapporti sindacali. Insieme rappresentiamo l’industria sinonimo di gusto, creatività. Siamo con orgoglio gli ambasciatori del made in Italy”.