Presepe
Un Dio che si è fatto bambino. E’ una tradizione, quella dell’allestimento del presepe, che si rinnova sempre con arte e fantasia, ma soprattutto con quella fede e quello spirito francescano volti a riportare l’Emmanuele – il Dio con noi – nella vita quotidiana di tutti.
Il presepe, il simbolo più popolare del Natale, fu realizzato per la prima volta da San Francesco a Greccio, in Umbria, il 25 dicembre 1223. Si tratta della rappresentazione visiva del racconto evangelico di Luca (2, 8-14), che descrivendo le circostanze della nascita di Gesù annota: “Viene adagiato in una mangiatoia perché non vi era posto per loro nell’albergo”. Francesco era affascinato da questo episodio e così volle allestire una scena “viva” della nascita che potesse far vedere e, quindi, far comprendere meglio il senso della venuta di Cristo nel mondo. Si aggiunga che nel 1220 Francesco si era recato a visitare i luoghi della vita terrena di Gesù, in particolare Betlemme dove si era fermato a lungo in preghiera (invece, non poté mai raggiungere Gerusalemme), e quel viaggio gli era rimasto impresso nella mente, per cui si può presumere che, attraverso il presepe di Greccio, egli esprimesse concretamente l’aspirazione a tornare in Palestina.
La religiosità della “sacra rappresentazione” è caratterizzata da molti simbolismi che si collegano al tema della resurrezione pasquale. Si osservi, ad esempio, la postura di Maria che tiene in braccio il piccolo Gesù: la si ritroverà identica quando la Vergine sarà raffigurata con il Figlio deposto dalla croce; oppure si veda la classica figura dell’agnello con le zampette legate che allude all’idea di dono, ma anche a quella di vittima sacrificale. Nella ieraticità dei primi presepi nulla era affidato al caso, mentre oggi l’aura sacrale viene “ipernutrita” di elementi talvolta alieni dal significato autentico della nascita del Cristo.
Cos’ha da dirci tuttora il presepe? “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Giovanni 3, 16). Sì, Cristo è disceso dal cielo “per la nostra salvezza”, ma quello che l’ha spinto a venire nel mondo è stato l’amore. Natale è la prova suprema di questo amore di Dio per gli uomini (la “filantropia”, come la chiama la Scrittura: Tito 3,4). Nel canto natalizio “Adeste fideles” c’è un’espressione profonda: “Sic nos amantem quis non redamaret?” (Come non riamare uno che ci ha amato tanto?), di cui possiamo trovare un’eco nel sublime verso di Dante “a nullo amato amar perdona”. Capire ciò significa davvero solennizzare il Natale: non occorre altro. L’amore ha bisogno di tradursi in gesti concreti. Sono le luci più belle che possiamo accendere nel nostro presepe.
Accenniamo ora ad alcuni dei personaggi principali del presepe.
GLI ANGELI – La Bibbia nomina spesso le creature angeliche che, fedeli ai disegni celesti, si pongono a disposizione di Dio e degli uomini. Di alcune conosciamo anche il nome: Michele, Raffaele, Gabriele. Possiamo poi citare l’angelo che annuncia a Zaccaria il concepimento di Giovanni (Lc., 1, 11); quello che appare a Giuseppe spiegandogli il mistero divino realizzatosi in Maria (Mt., 1, 18-25), quello che consola Gesù in agonia (Lc., 22, 43); quello che rivela la meraviglia della resurrezione alle pie donne (Mt., 28, 2-7). Non sorprende il fatto che siano gli angeli ad annunciare a semplici ed umili pastori di Betlemme la nascita del Salvatore: “Vi annuncio una grande gioia: oggi a voi è nato il Salvatore… Gloria a Dio, pace agli uomini” (Lc., 2, 10-14): la salvezza portata da questo Bambino è universale, perché tutti gli uomini sono oggetto della benevolenza divina.
I PASTORI – Betlemme era un villaggio popolato di pastori, e solo a questi fu destinato il lieto annuncio, benché al tempo della nascita di Gesù fosse in corso il censimento e il paese fosse affollato. Perché? Perché essi avevano le qualità interiori per comprenderlo ed accettarlo. Impossibile non richiamare la frase evangelica: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt., 11, 25). Allora il pastore è il simbolo del “bambino” che ognuno di noi dovrebbe sempre conservare in sé per aprirsi alla verità e cogliere l’essenza della vita. Anche i Magi, per capire chi era quel Bambino, si sono dovuti inginocchiare come semplici fanciulli, provando la stessa meraviglia e tenerezza dell’innocenza.
IL BUE E L’ASINELLO – E’ stata la religiosità popolare ad inserire questi animali nel presepe, mentre i testi sacri non li citano. I Vangeli non narrano nemmeno che Gesù è nato in una grotta: parlano solo di mangiatoia (Lc., 2, 6 s.). Si è pensato che questa si trovasse in una grotta e che lì fossero sistemati anche animali. Del ricovero nella grotta scrive per primo l’apologista Giustino (II sec.) menzionando le parole del profeta Isaia: “Abiterà in una grotta alta di pietra dura” (Is., 33, 16). Comunque, dal IV secolo la presenza di questi due animali divenne una componente dell’iconografia della Natività (si vedano le raffigurazioni scultoree del bue e dell’asinello sul sarcofago di Adelfia, capolavoro dell’arte paleocristiana in Sicilia, o su quello di Arles). Con l’inserimento degli animali il sentimento popolare ha forse voluto evidenziare il contrasto tra il freddo rifiuto umano (Maria e Giuseppe non trovarono posto a Betlemme) e l’accoglienza che gli animali, invece, riservarono a Gesù. Inoltre, non si dimentichi il significato simbolico di questi due animali. Nella Bibbia l’asino è considerato la cavalcatura dei principi ed il bue è l’animale da lavoro per eccellenza, nonché la pura vittima sacrificale. Quindi la presenza dell’asino potrebbe leggersi come metafora della regalità del Bambino, mentre quella del bue alluderebbe a Gesù nella sua qualità di vittima da immolare per la redenzione dell’umanità. Concludiamo con il commento del Papa Emerito Benedetto XVI sulla presenza del bue e dell’asino: “Avevano il valore di sigla profetica dietro cui si nasconde il mistero della Chiesa, il nostro mistero, di noi che di fronte all’eterno siamo buoi e asini, buoi e asini cui nella notte santa sono stati aperti gli occhi, sì che ora riconoscono nella mangiatoia il loro Signore. Ma lo riconosciamo realmente?”.